Niceta, Rappa e il dopo Saguto | Cosa cambia nei sequestri - Live Sicilia

Niceta, Rappa e il dopo Saguto | Cosa cambia nei sequestri

Il Palazzo di giustizia di Palermo

Le recenti sentenze della Cassazione hanno inciso nelle decisioni sulle misure di prevenzione.

PALERMO – Non ci sono più le misure patrimoniali di una volta. Le ultime vicende di cronaca che hanno riguardato gli imprenditori palermitani Niceta e Rappa dimostrano che è davvero cambiato molto in materia di sequestri e confisca di beni. E sarebbe affrettato e riduttivo ritenere che le restituzioni dei patrimoni siano il frutto dell’uscita di scena di Silvana Saguto. Come dire, fino a quando c’era l’ex potente presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo si sequestrava di tutto e di più. Una volta che Saguto è finita sotto inchiesta ed è stata radiata dalla magistratura l’orientamento è cambiato.

Nulla vieta di ipotizzare che lo scandalo abbia finito per influenzare le nuove decisioni, ma non era Silvana Saguto e non sono i giudici delle misure di prevenzione a proporre i sequestri ma, allora come oggi, la competenza è della Procura, della Dia e dei questori. A Saguto si può imputare parte della degenerazione nel sistema di conduzione del processo e della gestione successiva dei beni.

L’assioma “fuori Saguto uguale stop ai sequestri” è smentito, qualora ce ne fosse bisogno, dal caso Rappa visto che una grossa fetta di beni, in particolare oltre 200 immobili tra cui importanti palazzi storici, è andata in confisca. Appartenevano a Vincenzo Rappa, classe 1922, oggi deceduto, che gettò le fondamenta dell’impero passato ai figli e ai nipoti. Ed ecco il cuore della nuova questione: bisogna dimostrare che davvero su quelle fondamenta si regga tutto ciò che è venuto dopo.

Rappa senior era stato condannato per mafia. Da vittima era diventato il riferimento dei boss negli appalti. Tutto il patrimonio che ha accumulato durante la stagione dei suoi affari illeciti è rimasto allo Stato. L’essere stato mafioso per una fase della vita, però, non basta per dimostrare che di mafiosità puzzino i beni e le imprese comprati e avviate in seguito. Ancor di più se, nel caso del figlio di Vincenzo Rappa, Filippo, e dei nipoti, non ci si trovi neppure in presenza di una condanna per mafia. Condanna penale che, è bene ribadirlo, continua a non essere condizione necessaria per giustificare un sequestro. Di contro non vale neppure la considerazione, ormai parecchio diffusa, che sia un sopruso togliere i beni a una persona assolta per mafia. Non è uno sgarbo, né un capriccio di chi indaga, ma il frutto di una legge che fa muovere i processi, penale e patrimoniale, su binari diversi.

In tutte le ultime decisioni ha pesato la recente giurisprudenza della Cassazione sulla necessità che la pericolosità sociale sia attuale (è una delle condizioni necessarie affinché sia decisa una misura di prevenzione) e sulla cosiddetta “perimetrazione della prova”. I supremi giudici hanno più volte sottolineato la differenza di trattamento tra pericolosità generica (che richiede una maggiore perimetrazione della prova) e pericolosità “qualificata” che consente un’applicazione più estesa del codice antimafia. Anche per quest’ultimo caso, tuttavia, l’accusa deve dimostrare se la pericolosità caratterizza “l’intero percorso esistenziale” del proposto o solo una parte della sua vita.

E così, come scrivono i giudici nel caso Niceta, non bastano gli episodi di “contiguità” o “collateralità”, ma occorre “qualificare le condotte nei termini di un apporto individuabile alla vita della compagine mafiosa”. Agli imprenditori che un tempo erano titolari di una serie di negozi di abbigliamento, tutti chiusi durante la gestione in amministrazione giudiziaria, i beni sono stati restituiti integralmente perché è vero che i soldi di Mario Niceta erano stati accumulati in maniera illecita, ma ci fu un taglio netto con le attività dei tre figli, Massimo, Piero e Olimpia

Di sicuro Procura e investigatori sono obbligati per il futuro a rivedere i metodi di lavoro finora alla base delle misure di prevenzione che tanto consenso hanno ricevuto negli anni per i risultati di contrasto alla cosiddetta borghesia mafiosa. Erano considerate un modello. Il consenso di una volta, però, sembra smarrito. In questo sì che il clima è cambiato e lo scandalo Saguto ha pesato in maniera negativa sulla credibilità dell’intera magistratura. La norme del codice antimafia, nate in una stagione emergenziale, sono state di fatto superate. Che sia un bene o un male solo il tempo potrà stabilirlo.


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