“C’è un muro di gomma. E’ difficile che la magistratura possa arrivare alla verità, se non c’è uno scatto della politica”. Marinella di Selinunte, Festival della legalità. L’ospite è Antonio Ingroia, in un baretto davanti al mare. Alle spalle del procuratore aggiunto di Palermo – in partenza per un incarico all’estero – si susseguono le foto private di Paolo Borsellino che il figlio Manfredi ha donato a Livesicilia. Un momento di relax e di colloquio con il pm al centro delle polemiche. Il conflitto d’attribuzione sollevato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nei confronti della Procura di Palermo. Le dichiarazioni sprezzanti di Marcello Dell’Utri. Gli articoli di giornale. Antonio Ingroia non si sottrae. Risponde punto per punto. E il ritratto privato di Paolo Borsellino, tema della conversazione, si trasforma, confluisce in una riflessione di largo respiro.
L’attualità è predominante. “Perché vado in Guatemaa? Non è una fuga, né una ritirata. Penso che sia arrivato il momento di lavorare per una Procura mondiale antimafia. Lo so, è un’utopia. Ma il problema deve essere affrontato in chiave internazionale. Matteo Messina Denaro è, per esempio, solo l’ingranaggio di una rotella. Il mio non è un addio, è un arrivederci”. La domanda è d’obbligo: alla scelta ha contribuito il fuoco di filo delle ultime questioni? La risposta è una via di mezzo tra la rivendicazione di un percorso professionale e l’amarezza per “attacchi” che il procuratore aggiunto di Palermo ritiene faziosi e ingiustificati. “Non troppo. Certo, sono rimasto ferito – dice Ingroia – non dalle parole solite, ma da quelle insolite. A proposito del conflitto di attribuzione sollevato dal Presidente, mi ha molto colpito quello che ha scritto il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari. Accuse ai limiti della calunnia, secondo me”. ”
E comunque penso che sia utile, per un magistrato sovraesposto come me, un periodo di decantazione. Ormai se la prendono con Ingroia per fermare le indagini. Credo che la mia lontananza farà bene ai colleghi che stanno lavorando. Se le cose cambieranno, se la politica avrà voglia di rischiarare il buio, potrei avere voglia di tornare dal Guatemala”. E’ una battuta, accompagnata dal sorriso. Chissà se è solo un motto di spirito. Si giunge dritti al cuore del problema: la trattativa, lo svelamento delle trame che si intrecciarono a cavallo dell’estate del ’92. Un’oscurità che tutti danno per assodata, senza stabilirne pienamente i contorni. “L’Italia – dice Antonio Ingroia – è un Paese che ha un problema con la verità. Non tutti vogliono conoscerla. Siamo propensi ai compromessi. Per fortuna c’è un’altra Italia che vuole sapere. Non credo che la magistratura potrà compiere ulteriori passi in avanti. C’è un muro di gomma. Non c’è solo l’omertà dei mafiosi. C’è il silenzio degli uomini delle istituzioni che ebbero responsabilità in quel periodo. Tocca alla politica tentare uno scatto in avanti. Come? Per esempio con una commissione di inchiesta che approfondisca a fondo, senza veli e con coraggio. E credo che bisognerebbe rimettere mano alla legge sui pentiti”.
Il giudice col biglietto per il Sudamerica si sottopone spesso a confronti pubblici, sollevando il polverone delle critiche: “Lo faccio, perché la magistratura non è una casta chiusa. Almeno, non dovrebbe essere così. Non rinuncio al dibattito. Talvolta è necessario scavalcare pure la mediazione della stampa, per esprimersi al meglio. Purtroppo, non tutti sono tifosi della verità”. Un accenno al ruolo della magistratura: “che è il cane da guardia, chiamato in causa quando serve, nei momenti d’emergenza. Poi si pretende che torni nel suo angolo”. Le foto di Paolo Borsellino scintillano davanti al mare. Paolo da bambino, con la famiglia, con la toga, felice su un motoscafo. “Paolo negli ultimi giorni non era più l’uomo sorridente di sempre”.
Alla fine, Antonio Ingroia si avvicina all’ulivo della legalità, adornato dai pizzini dei bambini che hanno colmato di tenerezza e pensieri l’albero. Anche il procuratore scrive su un post-it giallo: “Nel ricordo di Paolo e Giovanni, per una Sicilia, un’Italia e un mondo migliore, più giusto e senza mafia”.|