Palermo, imprese mafiose, caso Ferdico: vittima o legato dei boss?

Imprese mafiose, il caso Ferdico: vittima o amico dei boss?

Il doppio binario della giustizia: assolto in sede penale ma con i beni confiscati
LOTTA A COSA NOSTRA
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PALERMO – Vittima della mafia o amico dei boss? Le indagini non hanno risolto il dubbio. La Procura generale non ha fatto ricorso in Cassazione. Diventa definitiva l’assoluzione di Giuseppe Ferdico dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

Ed è un’assoluzione che rimette al centro del dibattito il doppio binario della giustizia. Un doppio binario che esiste da sempre: le prove che non bastano per fare condannare un imputato in sede penale possono essere sufficienti per arrivare alla confisca del suo patrimonio. Nel caso di Ferdico è ormai definitiva la confisca da 100 milioni. Si può non essere affiliati o concorrenti esterni a Cosa Nostra e al contempo essere imprenditori mafiosi.

L’impresa mafiosa

Ciò avviene quando l’intera attività d’impresa è inquinata perché assoggettata al volere dei boss, ne diventa il braccio operativo per aumentare il potere dell’organizzazione, oppure perché ha beneficiato nel tempo di risorse economiche di provenienza illecita.

La recente giurisprudenza della Cassazione ha introdotto dei paletti sulla necessità che la pericolosità sociale sia attuale (è una delle condizioni necessarie affinché sia decisa una misura di prevenzione) e sulla cosiddetta “perimetrazione della prova”. Non è detto che ipotesi datate nel tempo si siano ripetute nell’intero arco della vita imprenditoriale. Possono esserci circostanze che recidono la mafiosità di un’impresa.

Il paletto della perimetrazione

I supremi giudici hanno più volte sottolineato la differenza di trattamento tra pericolosità generica (che richiede una maggiore perimetrazione della prova) e pericolosità “qualificata” che consente un’applicazione più estesa del codice antimafia. Anche per quest’ultimo caso, tuttavia, l’accusa deve dimostrare se la pericolosità caratterizza “l’intero percorso esistenziale” del proposto o solo una parte della sua vita.

Non bastano gli episodi di “contiguità” o “collateralità”, ma occorre “qualificare le condotte nei termini di un apporto individuabile alla vita della compagine mafiosa”. Le misure di prevenzione che tanto consenso hanno ricevuto negli anni per i risultati di contrasto alla cosiddetta borghesia mafiosa sono state considerate a lungo un modello.

Nate in una stagione emergenziale sono state di fatto superate, e lo confermano i molti dissequestri successivi allo scandalo che ha travolto la sezione delle misure di prevenzione di Palermo, allora guidata da Silvana Saguto. È cambiato il modus operandi, ma sono cambiate anche le regole.

Vittima o connivente?

Il caso Ferdico pone un tema. Vittima o connivente? Il nuovo processo di appello era stato celebrato dopo che la Cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza di condanna del “re dei detersivi” a 9 anni e 4 mesi. L’assoluzione è ora divenuta definitiva. Una lunga battaglia giudiziaria quella dei legali di Ferdico gli avvocati Roberto Tricoli, Luigi Miceli e Vincenzo Maiello.

Non si può sciogliere nel senso auspicato dall’accusa il dubbio (che comunque rimane e che deve indurre ad un verdetto assolutorio in base al principio del favore rei) – si legge nella motivazione della Corte di appello presieduta Antonio Napoli – sul fatto che il medesimo Ferdico fosse un imprenditore vittima ovvero un imprenditore colluso, laddove non è dato sapere se il Ferdico si manifestasse disponibile alle richieste di Cosa Nostra anche in termini di assunzione di personale per timore di subire un danno, ovvero nella prospettiva di trarre vantaggi sinallagmatici o di ricambiare vantaggi già ricevuti”.

Indagini, intercettazioni e racconti dei collaboratori di giustizia “non sono bastati a dimostrare che Ferdico fosse assoggettato ai desiderata del sodalizio, più che altro per evitare danni e senza la prova chiara e certa di vantaggio a suo favore correlati a quella medesima disponibilità. Non essendo possibile superare e sciogliere tale fondamentale e radicale dubbio va confermata la sentenza assolutoria di primo grado”.

Rapporti con i boss, ma possibile “soggezione”

Sono emersi i rapporti con Vincenzo Pipitone di Carini, Salvatore Biondino di San Lorenzo, con Salvatore Puccio, cognato del boss di San Lorenzo Salvatore Lo Piccolo; l’assunzione di personale da loro richiesto; l’affidamento di lavori edili ad imprese vicine a Cosa Nostra.

Sono tutti dati che “appaiono compatibili anche con una ipotesi di imprenditore vittima che abbia agito per soggezione alla forza di intimidazione di Cosa Nostra per evitare un danno”.

Pentiti picconati

Nel frattempo il patrimonio di Ferdico è passato per sempre allo Stato. La scalata di Ferdico fu spinta dall’aiuto di Cosa Nostra. Csì è stato stabilito nel processo di prevenzione. Lo hanno ricostruito una serie di collaboratori di giustizia che però vengono picconati in sede penale.

“Assenza di precisione e costanza”, “soggettivamente non credibile e non attendibile”, “dichiarazioni assolutamente generiche”, sono le parole usate dal collegio di secondo grado per descrivere il contributo di Angelo Fontana, Giovanna e Vito Galatolo, Marco Favaloro e Francesco Onorato.


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