PALERMO – Il 12 marzo 2014 i killer, a bordo di uno scooter, affiancarono la Smart di Di Giacomo, fratello del killer ergastolano Giovanni, in via Eugenio l’Emiro, alla Zisa, e reggente del mandamento di Porta Nuova. Lo crivellarono di colpi alle sette di sera, in una strada affollata di gente che faceva la spesa.
Dopo dieci anni la Procura della Repubblica e i carabinieri del Nucleo investigativo, guidati dal tenente colonnello Salvatore Di Gesare, ritengono di avere risolto il caso. Il presunto killer è stato arrestato. Si tratta di Onofrio Lipari, 32 anni, personaggio noto alle forze dell’ordine e protagonista alcuni anni fa di un insolito episodio al Palazzo di giustizia. Respinta la richiesta di arresto per Tommaso Lo Presti, boss di Porta Nuova già detenuto, considerato dalla Procura il mandante del delitto.
ll primo a parlare del delitto è stato Vito Galatolo, boss dell’Acquasanta divenuto collaboratore di giustizia: “L’omicidio di Giuseppe Di Giacomo è legato al fatto che questi aveva offeso un compare di Tommaso Lo Presti inteso il pacchione, ossia Giuseppe Corona. Di Giacomo voleva far chiudere la tabaccheria di alcuni parenti del cognato di Corona, motivo per cui quest’ultimo sì era lamentato col Lo Presti, con il quale era legato da un rapporto di profondo rispetto ed amicizia”.
Galatolo, il verbale è del 2014, aggiunse di averlo saputo da Vincenzo Graziano, che a sua volta aveva ricevuto la confidenza da “tale Pauluzzo cugino di Revuccio e Tommaso Di Giovanni”. Pauluzzu gli avrebbe detto che “Di Giacomo aveva offeso Tommaso Lo Presti che voleva impadronirsi del mandamento e per questo fu ucciso”.
Galatolo aggiunse di avere saputo “che forse il Di Giacomo Giuseppe gli avrebbe dato o uno schiaffo a Lo Presti Tommaso, il pacchione, o lo avrebbe offeso con la bocca… ci dissi è per questo lo hanno ucciso a Giuseppe?’. ‘Sì dice, ci sono stati discorsi interni, però il pacchione so… mi ha riferito questo fatto che è male intenzionato, perché si doveva prendere tutte cose nelle mani”.
Poi arrivarono anche le dichiarazioni di Giuseppe Chiarello. Raccontò che Tommaso Di Giovanni e Nicola Milano (per un periodo coabitarono al posto di comando), alla presenza di Ivano Parrino (pure lui uomo del Borgo Vecchio) scelsero il loro successore.
Vinse la linea dello “stavolta tocca a Giovanni”. Giovanni era Giovanni Di Giacomo, killer ergastolano del gruppo di fuoco di Pippo Calò. Sepolto in galera, ma sempre potente e autorevole. In segno di rispetto nei suoi confronti il fratello Giuseppe divenne il nuovo signore di Porta Nuova.
Il rispetto per il fratello ergastolano (che meditava la vendetta), però, venne meno nel marzo 2014, quando Giuseppe fu crivellato di colpi per le strade della Zisa. Chiarello, nel suo primo verbale depositato, parlava anche di questo omicidio. Solo che le notizie disse di averle sapute in carcere da un altro dei fratelli Di Giacomo, Marcello. Chiarello sapeva che il movente del delitto sta nel furibondo scontro che Di Giacomo ebbe con Tommaso Lo Presti, uscito dal carcere con il mandato di comandare.
Di Giacomo si era macchiato di una colpa grave, dimenticandosi di aiutare la famiglie dei detenuti. Il malcontento era diffuso. L’ordine per l’omicidio, così Chiarello dice di avere saputo da Marcello Di Giacomo (non sappiamo se si sia trattato soltanto di una deduzione del suo interlocutore in carcere), sarebbe partito da Tommaso Lo Presti, con il benestare dei Milano (“traditori” li avrebbe definiti Marcello Di Giacomo).
Giovanni Di Giacomo era convinto che fossero stati Emanuele e Onofrio Lipari, detto Tony, a uccidere Giuseppe. Qualche anno fa Tony Lipari sentì la necessità di prendere la parola in aula per spiegare che non aveva “motivi di astio contro nessuno e nessuno ne ha contro di me”.
Era il suo modo per sgombrare il campo da dubbi e sospetti. La realtà, secondo il procuratore Maurizio De Lucia e l’aggiunto Paolo Guido sarebbe stata nettamente diversa.
Ai Di Giacomo non era piaciuto l’atteggiamento di Vittorio e Onofrio Lipari, padre e figlio. Perché? Perché i Lipari avrebbero voluto prendersi “il pannello”, e cioè gli incassi delle sale scommesse della vittima.
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