PALERMO – Al processo per l’omicidio di Giuseppe Di Giacomo il pubblico ministero chiede di depositare “nuove prove” e denuncia il “clima di intimidazioni subito dai testimoni”.
Gli ultimi due citati ieri sono stati messi alle strette anche dai difensori dell’unico imputato, Onofrio Lipari. Troppi “non ricordo” e risposte con passaggi illogici che hanno provocato momenti di imbarazzo nell’aula della Corte di assise di Palermo.
Le intercettazioni di una donna
Il pm Gaspare Spedale ha chiesto di acquisire al fascicolo del dibattimento le intercettazioni di Roberta Presti, arrestata nel blitz dei 181. Seguendo la donna i carabinieri sono arrivati all’arresto del Giuseppe Auteri. Presti aveva a disposizione un telefono criptato per parlare con il latitante. Sono amici e Auteri non le avrebbe fatto mancare il denaro necessario per vivere da quando il marito, Francesco Arcuri, boss di Borgo Vecchio, è stato arrestato: sta scontando 24 anni di carcere per l’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà.
La moglie del boss
Gli investigatori hanno intercettato una conversazione fra Roberta Presti e Rosaria Di Salvo, moglie del capomafia di Porta Nuova Gregorio Di Giovanni. Parlavano del fatto che il figlio di Di Giacomo, Daniele, avesse visto il killer in faccia. L’assassino aveva “gli occhi azzurri, ma Daniele non lo ha voluto dire ai carabinieri”.
Azzurri sono gli occhi dell’imputato Lipari. Un dettaglio importante, ha fatto notare il pm in aula, e insolito visto che fra i presenti al piano terra del Palazzo di giustizia l’imputato è il solo ad averli di questo questo colore.
Il figlio testimone del delitto
Daniele Di Giacomo oggi ha 18 anni, ne aveva otto nel 2014 quando il padre fu crivellato di colpi alla Zisa. Padre e figlio erano insieme quel giorno. Quando fu chiamato a depore come testimone mandava baci all’imputato seduto dentro il gabbiotto di vetro. Il giovane non crede che Lipari sia il killer del padre. C’è una storia nella storia. Daniele Di Giacomo è fidanzato con la nipote del presunto assassino.
“Non l’ho visto in faccia – raccontò in aula –. Era tutto nero, il giubbotto nero, il casco nero con la visiera abbassata”. La conversazione fra Presti e la moglie del boss Di Giovanni lo smentirebbe?
Secondo la Procura, a premere il grilletto sarebbe stato Lipari che con la vittima aveva condiviso vita mafiosa e guai giudiziari. “Era come un padre per me”, disse l’imputato respingendo l’accusa.
Tommaso Lo Presti, soprannominato il lungo, capomafia di Porta Nuova e cognato di Lipari, viene indicato come il mandante del delitto ma non sono stati trovati i riscontri necessari per incriminarlo. L’omicidio sarebbe servito per sbarazzarsi di un boss ingombrante e consolidare il potere di Lo Presti.
“La testa dell’acqua”
E qui si innestano le deposizioni dei due testimoni citati dalla difesa. Si tratta di Tommaso Isgrò e Giuseppe Nuccio. Il primo è titolare di una pescheria, il secondo fa l’organizzatore di viaggi. Nelle intercettazioni che hanno portato all’arresto di Lipari sono entrate anche le loro voci.
L’interlocutore di Isgrò diceva che “la colpa ce l’ha la testa dell’acqua”. Isgrò rispondeva che “iddu se ne voleva uscire da tutte cose”. Il giorno dell’omicidio il pescivendolo disse “muriu, sugnu (sono) cassutta assittatu (qua sotto seduto)“. Isgrò ha spiegato di non ricordare quelle frasi, addirittura ha negato di averle pronunciate.
Non ha idea di chi sia “la testa dell’acqua” (“una persona da andare a trovare, qualcuno dell’Amap? Non lo so”, ha risposto), ciò che conosce sull’omicidio lo ha appreso dai giornali e quel giorno non andò in via Eugenio l’Emiro dove c’era il corpo di Di Giacomo. Fece visita alla salma a casa. Di Giacomo era stato suo amico di infanzia e ogni tanto comprava il pesce da lui.
“Non sono io”
La voce di Nuccio, invece, è entrata in una conversazione in cui il suo interlocutore diceva che Di Giacomo “non ha a nessuno, un bastone a cui appoggiarsi”. Egli stesso spiegava che “per me sta perdendo tempo”. Gli avvocati della difesa, Michele Giovinco e Angelo Formuso, hanno sollecitato la sua memoria nella convinzione che ci sono dei buchi investigativi in cui sarebbero finiti i veri colpevoli dell’omicidio.
“Non ricordo di avere detto queste cose, può essere che c’è un altro Pino che parlava?”. La voce, invece, così hanno trascritto i periti e così emerge dai tabulati, è la sua.
Il pm ha chiesto anche di acquisire alcune intercettazioni che riguardano, tra gli altri, Giuseppe Auteri e il suo presunto braccio destro, Stefano Comandè, arrestato nel blitz dei 181. Servirebbero a descrivere il clima di “mafiosità” che avvolge l’intera vicenda. Ha parlato di “intimidazioni dei testimoni”. Alcune deposizioni nel corso del processo hanno sfidato la logica. La Corte deciderà se acquisire o meno le nuove prove.