'Palermo, ponte Corleone e lo sfascio: la politica non c'è'

‘Palermo, ponte Corleone e lo sfascio: la politica non c’è’

Intervista a Giuseppe Russello, presidente di Sicindustria Palermo.
VOCI DELLA CITTA'
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3 min di lettura

Giuseppe Russello, 59 anni, da qualche mese presidente di Sicindustria Palermo è un uomo del fare che, prima di fare, ha organizzato un pensiero coerente sulle sfide che attendono ogni impresa. Ingegnere meccanico, papà di Omer, azienda di livello internazionale nel campo della componentistica per il settore ferroviario. Qualche settimana fa ha denunciato gli intollerabili ritardi di ponte Corleone, simbolo di una città disfatta ben oltre le magagne del ‘Ciaffico’. E di questo e del resto si parla in una intervista tutta sui binari di un angoscioso presente e di un futuro in bilico. Ma può mancare, anche se appare lontana, una scaglia luminosa di speranza?

Presidente, dopo le promesse e i rinvii, qual è adesso il suo giudizio sull’affaire di Ponte Corleone. Cambierebbe qualcosa?
“Il mio giudizio non può che essere negativo per l’approccio dilettantesco nei fatti e nella comunicazione. Non c’è nemmeno la percezione del danno che si sta causando alla città”.

L’amministrazione, però, si è scusata…
“Ecco, appunto. Un’amministrazione non deve scusarsi né sentirsi in colpa, ma porre rimedio. Non può dire che è necessario farsene una ragione e pazienza. Mi pare un grave segno di disconnessione dalla realtà. La mancata percezione che le dicevo”.

Lei che ne pensa?
“Che ci vorranno dieci anni per sistemare Ponte Corleone, se si continua così. Vorrei un’amministrazione che fosse reattiva, che facesse, se necessario, la voce grossa con Roma e che sottolineasse la crisi di protezione civile in atto. Il disagio, se ci fosse buona volontà, si potrebbe risolvere in sei mesi”.

Magari questa mancata percezione riguarda l’intero contesto, non solo viale Regione.
“E’ come se Palermo fosse prigioniera di una strana forma di anestesia, in ogni suo aspetto. Un cittadino può accettare un sacrificio temporaneo, in cambio di un miglioramento. Poi si arrabbia. Qui, invece, siamo tutti addormentati quando ci vorrebbe una riscossa incruenta, una rivoluzione civile”.

E il Comune?
“Certo che è pervaso dalla stessa sindrome del blocco. Si tira a campare, si guarda al proprio tornaconto, cioè alla campagna elettorale, mentre Palermo va a fondo. Eppure, le risposte andrebbero date e in fretta. All’inizio dell’epoca di Orlando qualche risultato c’è stato. Ma la macchina si è inceppata”.

Ma lei lo farebbe il sindaco?
“C’è un tempo per tutto. Io rappresento la mia azienda e offro, in altra veste, la mia disponibilità alla comunità e al territorio”.

Si finisce sempre a un crocevia obbligato, Leoluca Orlando, sindaco di Palermo.
“E’ vero, ma io sono convinto che sia la squadra a fare sempre la differenza. Il sindaco è il primo responsabile, ma vogliamo parlare del consiglio comunale e della classe dirigente?”.

Parliamone.
“Si boccia il tram, a Palazzo delle Aquile, per una sorta di dispetto alla giunta. Avrebbe avuto un senso stopparlo anni fa, non adesso. La politica, a Palermo, non c’è”.

Ipotesi tremenda. Dove lo andiamo a prendere il prossimo sindaco, sulla luna? Chiediamo al presidente Draghi se può reggere l’interim?
“Ecco il tema di fondo, il punto che fa male. Io non ho una risposta alla sua domanda perché una classe dirigente degna di questo nome non esiste. Ci sono tante intelligenze, ma spesso vengono lasciate ai margini perché manca l’etica del bene comune”.

Palermo città del prestigio e del potere senza sbocchi per i meritevoli?
“Sono un filo più ottimista. Le risorse esistono, ma dobbiamo indirizzarle verso i progetti. Che cos’è un progetto? Il sogno del bello, dell’utile e del bene. Io ho sognato di fare le cose che ho fatto. E ci sono riuscito”.

Il traffico è una piaga, lo sappiamo. E poi?
“La burocrazia di alcuni, non di tutti, che interpretano il posto pubblico come un privilegio a cui non corrisponde un effettivo servizio. E invece alcuni, non tutti, come spiegavo, dovrebbero capire che avere uno stipendio ogni mese, in tempo di pandemia, con le aziende che chiudono, è una sicurezza da onorare con il massimo impegno”.

Lei ha dei figli?
“Sì”.

Se un ragazzo con la valigia in mano, uno che potrebbe essere suo figlio, le chiedesse: presidente, cosa mi consiglia, vado via o resto? Lei che risponderebbe?
“Gli direi: vai, raccogli tutti i sogni che puoi, studia, impara e torna perché abbiamo bisogno di te”.


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