Palermo, imprenditori e vip vittime di usura: condanna a 6 anni

Palermo, imprenditori nella morsa degli strozzini: condannato

Si conclude il primo processo dopo il blitz di un anno fa

PALERMO – C’è la prima condanna per il giro di usura scoperto dalla Procura e dai finanzieri del comando provinciale nel giugno dell’anno scorso. Matteo Reina, considerato uno degli strozzini, è stato condannato a sei anni in abbreviato dal giudice Paolo Magro.

Gli arrestati del blitz

Una ventina di persone, indebitate fino al collo e travolte anche dalla crisi causata dal Covid, si erano rivolti agli strozzini. Quattro le persone arrestate: oltre a Reina c’erano anche Salvatore Cillari, 63 anni, Gabriele Cillari, 34 anni, e Giovanni Cannatella di 49. Gli altri imputati vengono processati con il rito ordinario.

I soldi accumulati illecitamente dagli strozzini sarebbero servizi anche per aprire il locale “L’Acerba”, una osteria in piazzetta Saponeria al Capo. Contestualmente è stato disposto il sequestro preventivo di beni nella disponibilità degli indagati per un valore complessivo stimato in circa 500 mila euro.

Le investigazioni, condotte dal Nucleo di polizia economico-finanziaria e coordinate dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dal sostituto Federica Paiola, coprivano il periodo novembre 2019-dicembre 2020. “Gli spacco la testa”, dicevano gli indagati intercettati parlando di chi non saldava i debiti. A casa dei Cllari fu trovato il libro mastro.

Tra le vittime di Salvatore Cillari, c’era anche il conduttore radiofonico Marco Baldini.

Il fratello ergastolano dello strozzino

Cognome noto quello dei Cillari nel mandamento mafioso di Porta Nuova. Salvatore è fratello di Gioacchino, boss ergastolano, e di Antonio, uomo d’onore che ha scontato una condanna per mafia. Salvatore Cillari, così hanno ricostruito i carabinieri del Ros, è considerato socio occulto e finanziatore della “Sicilia e Duci”, società che aveva due bar a Trastevere e al testaccio e che faceva capo a Francesco Paolo Maniscalco.

L’amico dei Riina

Di Maniscalco si iniziò a parlare nel 1991 quando un commando svuotò il caveau del Monte di Pietà, a Palermo. Bottino: oro e gioielli per 18 miliardi di lire, di cui non si è saputo più nulla. Del commando faceva parte Maniscalco. Nella sua fedina penale c’è anche una condanna per mafia con il suo nome accostato a quello di Totò Riina.


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