Il pizzo si pagava pure in gioielli | Il pentito racconta l'estorsione - Live Sicilia

Il pizzo si pagava pure in gioielli | Il pentito racconta l’estorsione

Dopo tredici anni approda in aula il processo per l'estorsione a uno dei più noti gioiellieri di Palermo. Le dichiarazioni del pentito Marcello Fava potrebbero costare il rinvio a giudizio a sei imputati accusati di avere agito per conto del clan mafioso di Porta Nuova.

PALERMO – È una vecchia storia. Quando ancora il pizzo si pagava in lire. Una vecchia storia che arriva all’udienza preliminare dopo tredici anni grazie al coraggio di Francesco Di Paola, titolare della omonima e storica gioielleria di via Meli, a pochi passi da piazza San Domenico, che ha denunciato gli uomini del racket.

Rischiano di finire sotto processo Tommaso Lo Presti, Antonino Rizzuto, Vincenzo Di Maria, Francesco Mulè, Giovana Battista Marino e Marcello Fava. Sono tutti in carcere, tranne Lo Presti e Fava. Il primo pochi giorni fa è stato condannato in appello in continuazione con una pena precedente per l’estorsione ai costruttori Sanfratello. Ha ottenuto uno sconto di pena e, conti alla mano, è uscito dal carcere. Fava, invece, è il collaboratore di giustizia, tornato a piede libero, che ha contribuito a ricostruire la storia del pizzo al gioielliere. Nel 2011 ha acceso di nuovo i riflettori sulla vicenda, fornendo quello che gli investigatori considerano un “formidabile riscontro alle accuse”. Davanti al pubblico ministero Francesca Mazzocco Fava mise a verbale: “Conoscono il gioielliere Di Paola, mi risulta che ha sempre pagato il pizzo sia sotto forma di soldi versati, sia sotto forma di gioielli che poi non venivano pagati dagli acquirenti”.

Gli uomini del racket passavano all’incasso, come prassi vuole, una volta all’anno nel periodo natalizio: “Mi risulta che Di Paola pagasse una somma annua di cinque milioni di lire che io stesso prelevavo o che talvolta mi portava al mercato di Ballarò”. La protezione dei boss era una tassa che si tramandava di mafioso in mafioso. Quando qualcuno veniva arrestato passava il testimone a chi ne prendeva il posto. Almeno così ha raccontato Fava: “Dopo l’arresto di Franco Mulè, nel 1994 o 1995, Salvatore Lo Presti mi recuperava la somma in quanto reggente della famiglia di Palermo Centro. Ricordo che fin dalla mia affiliazione nel 1982 ho accompagnato Franco Mulè da questo gioielliere”.

Il processo si è aperto davanti al giudice per l’udienza preliminare Agostino Gristina. Hanno fatto richiesta di cosituirsi parte civile Di Paola e il comitato Addipizzo che lo ha accompagnato nella denuncia. Nel frattempo, il gioielliere ha ceduto l’attività di via Meli e si è trasferito altrove. Il prossimo 5 febbraio il giudice decidera se mandare sotto processo o meno i sei imputati.


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