Processo Cimò, il turno delle parti civili - Live Sicilia

Processo Cimò, il turno delle parti civili

Gli avvocati dei nipoti di Mariella Cimò ritengono "incompatibili" e al limite del "possibile" le ipotesi alternative all'omicidio.

Il giallo di San Gregorio
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CATANIA – Il processo per l’omicidio di Mariella Cimò è quasi al termine. Nell’ultima udienza è stato il turno delle parti civili. Gli avvocati dei nipoti della settantenne scomparsa ormai da sei anni hanno discusso davanti alla Corte d’Assise presieduta da Rosario Cuteri. Michele Pappalardo, Barbara Ronsivalle e Dario Pastore hanno voluto affrontare questioni nuove rispetto a quanto sviscerato nella requisitoria dal pm Angelo Busacca. La contradditorietà dell’imputato e il profilo comportamentale di Salvatore Di Grazia, marito di Mariella, restano al centro della disamina. Esaminate anche gli aspetti che smonterebbero le ipotesi alternative all’omicidio.

L’avvocato Dario Pastore “invita” la Corte a “vestire i panni” del marito la cui moglie è scomparsa all’improvviso. “Come ci si comporterebbe?” – E’ uno degli interrogativi che l’avvocato pone ai giudici. Per Pastore una serie di atteggiamenti sono assolutamente “incompatibili” con le ipotesi alternative messe in campo dalla difesa, prima fra tutte quella dell’allontanamento volontario. Perchè la denuncia della scomparsa arriva dopo 10 giorni? E perchè non c’è alcuna telefonata alle forze dell’ordine, agli ospedali, ai conoscenti della moglie per poter avere notizie? La preoccupazione di un marito – secondo l’avvocato Pastore – metterebbe in moto una serie di comportamenti che invece Salvatore Di Grazia non avrebbe tenuto. Anzi le sue azioni dimostrerebbero che l’imputato sapeva che Mariella non sarebbe tornata. Come mai – si domanda ancora Pastore – se il marito sapeva che la signora Cimò tornava il giorno dopo l’allontanamento si porta a casa l’amante e continua ad avere incontri con altre donne (come lui stesso ha ammesso) nell’autolavaggio di Aci Sant’Antonio? Autolavaggio e relazioni extraconiugali sarebbero stati i motivi – secondo il magistrato Angelo Busacca che ha chiesto la condanna all’ergastolo – della lite che sarebbe sfociata poi nell’omicidio e nella distruzione del cadavere.

Nella costruzione dell’ipotesi dell’allontanamento volontario – secondo Pastore – è totalmente impensabile che la signora Cimò, ultrasettantenne, potesse “scappare” attraverso i rovi e i cespugli delle campagne che circondano la villa di San Gregorio. Perchè le telecamere dei vicini non registrano “l’allontanamento” di Mariella, ma solo il suo rientro a casa il giorno prima, cioè il 24 agosto 2010. L’impraticabilità del percorso sarebbe stato dimostrato – a parere del penalista – anche nel corso dell’udienza che si è svolta a casa dei coniugi Di Grazia quando l’imputato è “caduto” mentre cercava di mostrare i giudici la possibile via di fuga della Cimò.

“Impossibile” poi – sempre secondo Pastore – l’altra ipotesi alternativa all’omicidio portata al dibattimento. Che ci siano stati dei ladri la mattina della scomparsa. Le telecamere dei vicini di casa mostrano come intorno alle 7 e 30 Di Grazia esca di casa e faccia ritorno intorno alle 9 e 15. “Quindi in meno di due ore i ladri sarebbero entrati nella villa, avrebbero neutralizzato 30 cani, avrebbero ucciso la signora e si sarebbero portati via il cadavere”. Ricostruzione per l’avvocato dal punto di vista pratico “impossibile”.

L’ultimo tassello prima della sentenza –  dopo un processo che dura da più di due anni –  è l’arringa difensiva dell’avvocato Giuseppe Rapisarda fissata per l’udienza del 22 novembre. Entro l’anno si potrebbe concludere dunque il processo. Anche se si tratta solo della fine del primo capitolo giudiziario.

 


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