"Saviano, Travaglio, la mafia | E io, ancora incompreso" - Live Sicilia

“Saviano, Travaglio, la mafia | E io, ancora incompreso”

Riproponiamo ai nostri lettori questa intervista immaginaria a Leonardo Sciascia, a proposito del celebre articolo sui professionisti dell'antimafia, pubblicata lo scorso 16 novembre.
Intervista con Leonardo Sciascia
di
5 min di lettura

Sciascia, ha visto l’intervento di Saviano su Raitre l’altra sera?
“No. Me l’hanno raccontato”.

Qualcosa le ha dato fastidio?
“Sì. Mi avrebbe definito un intellettuale. Avevo voglia di rispondergli: ‘intellettuale sarà lei'”.

Perché? La ritiene un’offesa?
“Guardi, oltre trent’anni fa ebbi modo di lanciare una profezia. Al limite del paradosso. Dissi che presto sarebbero nate persino delle cattedre di ‘mafiologia’. Devo ammettere che la realtà ha superato il paradosso. I professori sono tanti, in effetti”.

Considera Marco Travaglio uno di questi?
“Guardi, io credo che Travaglio sia furbo. Intelligente. Ma ha, secondo me, due grossi limiti”.

Quali?
“Intanto, il suo modo di fare giornalismo ricorda l’inquisizione. E chi mi ha conosciuto o quantomeno letto qualcuno dei miei libri, sa quanto critico io sia stato nei confronti della vecchia e delle nuove inquisizioni”.

L’altro limite?
“Appartenere a una Chiesa. Vede, quando si entra in una chiesa bisogna necessariamente accettare i suoi dogmi, le sue verità precostituite. Altrimenti, si corre il rischio di essere un eretico. E un eretico è sempre solo. E da soli, comunque, si soffre”.

Eretico, come definirono lei.
“Sì, perché l’unica Chiesa in cui ho creduto è stata quella della libertà. Persino la libertà di contraddirmi. E questo, tra gli adepti di una certa chiesa, non era concepibile”.

Sembra di rileggere il suo Candido.
“Proprio così. Oggi, tra l’altro, le Chiese non hanno nemmeno bisogno di simboli visibili o campanili”.

Quali sono questi dogmi, queste verità precostituite su cui molti si appiatirebbero.
“Prendiamo il mio celebre articolo sui professionisti dell’antimafia”.

Glielo avrei chiesto io.
“Non avevo dubbi. La anticipo. Ecco, fanno passare quel mio articolo come un attacco personale a Paolo Borsellino. Ma il mio era (ed è) un richiamo alle regole, al diritto. Dobbiamo renderci conto che, anche oggi, la legge, il diritto, il senso di giustizia, anche quella formale, sono gli unici argini contro i nuovi fascismi”.

Lo stesso Borsellino, però, disse che Giovanni Falcone iniziò a morire dalla pubblicazione di quell’articolo.
“Io ebbi modo di chiarire di persona con Paolo Borsellino. E non devo aggiungere niente, pubblicamente. Quella frase io la interpreto in maniera più ampia. Cioè, come un riferimento a una posizione comunque diffusa nella società siciliana e italiana. Io fui la punta più visibile di un pensiero comunque, se non estesissimo, certamente esistente. E nessuno può credersi talmente ‘al di sopra’ da poter negare a qualcuno la libertà di esprimere questo pensiero. E non credo, tra l’altro, che Borsellino si riferisse a me come persona. Credo riconoscesse la mia assoluta buona fede”.

Chiarì anche con Leoluca Orlando, altro “protagonista” di quell’articolo?
“Guardi, le racconto questo. Pochi giorni prima di morire, Orlando mi venne a trovare a casa. In quel momento capii che ero finito…”

Cioè?
“Compresi, in pratica, che da morto sarei stato molto diverso che ‘da vivo’. Che il mio pensiero sarebbe stato banalizzato, semplificato, reso uno slogan”.

Lei ha accennato al fascismo. Che tra l’altro fu il punto di partenza di quell’articolo. Lei scrisse anche che l’Italia, in un certo senso, vive sull’orlo di un fascismo sempre possibile.
“Sì, ma non mi sono mai riferito al fascismo del Ventennio. Quella fu un’esperienza che poteva avverarsi solo in quel momento storico. Io parlo di un altro tipo di fascismo. Un regime, insomma, che non ti dia il ‘disturbo’ di pensare, di riflettere. E direi che non sono andato molto lontano”.

Si riferisce all’era berlusconiana?
“Non solo. O meglio, con tutto ciò che c’è dentro. Cioè lo svuotamento della democrazia. Di ogni forma di rappresentatitività. E nella banalizzazione dei concetti a me tanto cari: il tema della giustizia è diventato quello dei processi di due o tre persone, il problema dell’etica s’è trasformato in gossip, quello della libertà nella fede nei sondaggi. Lo chiamerei fascismo, certamente. Un fascismo trasparente, liquido. Ma qualcosa di buono c’è, anche oggi”.

Ci faccia un esempio.
“La legge sulle intercettazioni. Al di là dei motivi che l’hanno suggerita, restituisce un po’ di senso alla democrazia, al senso della libertà individuale”.

Farà innervosire molte persone, con questa dichiarazione.
“Forse farò arrabbiare anche lei e qualche suo collega. Siete bravi a chiedere la libertà, e non vi accorgete quando la superate di gran lunga”.

A cosa si riferisce?
“Prendo solo un fatto recente. La ragazza che si dice abbia avuto un incontro col premier, non è minorenne? Avete pubblicato le sue foto, anche quelle più discinte. Avete raccontato la sua storia. E non è una storia edificante, ma difficile, scabrosa. È pornografia. Se una regolata non ve la date voi, lo facciano altri. Anche se lo fanno…involontariamente”.

Scendiamo dalla dimensione nazionale a quella locale. Come giudica la situazione attuale della politica regionale siciliana?
“Io credo che ci sia molto di antico, ma anche molto di nuovo. Il nuovo sta nella evoluzione di un pensiero che feci esprimere a un mio personaggio di A ciascuno il suo”.

Ce lo ricordi.
“Sintetizzo: un uomo anziano affermava che, mentre durante il Fascismo gli italiani avevano sulle corna una bandiera di un solo colore, con la democrazia ogni italiano ha iniziato a scegliersi da solo il colore della bandiera da issare sulle proprie corna”.

E l’evoluzione siciliana in cosa consisterebbe?
“La bandiera sulle corna c’è sempre. Ma il siciliano non sa più di che colore è”.

Questo il nuovo. E il vecchio?
“Sempre in A ciascuno il suo, i democristiani non facevano differenza tra il ‘rosicchiare’ a destra e ‘rosicchiare’ a sinistra. Non è cambiato molto, in fondo”.

Non dica così, altrimenti l’assessore Centorrino ripete che bisogna dimenticarsi di lei e di Tomasi di Lampedusa.
“Centorrino, nel cercare di sfatare quell’idea, non fa che confermarla”.

Cioè?
“Come i politici si ostinavano a negare la mafia, oggi si ostinano a negare l’arretratezza della Sicilia. Un ritardo anche culturale di cui invece, personalità come l’assessore, che si sono occupate di scuola e formazione, dovrebbero prendersi la responsabilità”.

Che tipo di responsabilità.
“Quella di far capire agli studenti che l’importante non è partecipare ai convegni o alle manifestazioni. Bisogna studiare. E servono buoni insegnanti. Docenti che insegnino, insomma, che ‘I promessi sposi’ non è una storia d’amore, e la ‘Storia della colonna infame’ non riguarda la peste, ma la giustizia”.

A differenza di anni, cosa vede di positivo, cosa la fa sorridere?
“Ci penso spesso. Una cosa in effetti, mi fa ancora sorridere”.

Cosa, ci dica.
“Ventitrè anni fa mi misero ‘ai margini della società civile’. E oggi, siamo ancora qua a parlare di me”.


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