Si decide tutto a Roma, questa Sicilia non conta più niente

Si decide tutto a Roma, questa Sicilia non conta più niente

Perché siamo diventati irrilevanti. Perché le cose che ci riguardano vengono decise altrove.
REGIONALI E POLITICHE
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La Sicilia? Per le cose che contano bisogna ormai bussare alle porte di palazzi del potere forestieri, lì dove si riuniscono signore e signori che hanno voce in capitolo per regnare e che quella voce usano per spargere nebbia sulla terra del sole. E dicono, promettono e giurano che le faccende siciliane è quaggiù che devono essere decise, ci mancherebbe altro. E, mentre giurano e promettono, chissà se gli scappa da ridere.

Prendiamo la Musumeceide, la vicenda di un presidente della Regione, ovvero Nello Musumeci, che vuole a ogni costo candidarsi, mentre il suo avversario, Gianfranco Miccichè, a ogni costo, non vuole. Il gioco non è siciliano, se non nella zona in cui non si comanda, semmai è romano e a incastro. Ed è tutta una dinamica interna al centrodestra, appunto, romanamente inteso, come sommaria geografia del vero potere politico.

Se il nome di Musumeci (difficile) sarà quello giusto per mettere le pedine a posto, nelle contrapposte prove di forza, evviva Nello. Se spunterà un altro nome (più facile), come qui abbiamo raccontato, affinché Giorgia, Matteo e Silvio, siano soddisfatti, magari con un(a) forzista candidato(a) a Palazzo d’Orleans, un meloniano strettissimo nel Lazio e un salviniano in Lombardia… caro governatore, rassegnati e non stupirti di nulla. Di solito, poi, chi gonfia il petto nell’Isola, successivamente, vola in riva al Tevere per chiedere, almeno, uno strapuntino.

A Palermo, invece, il sindaco Roberto Lagalla dovrà, ogni giorno, contrattare con i litigiosi membri della sua coalizione, secondo appetiti che nascono qui, ma che non possono ignorare i suggerimenti romani. Lo ha dimostrato una travagliata campagna elettorale, nella raffigurazione di un centrodestra siculo-panormitano che ha consumato le batterie dei telefonini, in solerte contatto con le rispettive leadership nazionali.

Cos’è la nuova giunta se non una dimostrazione dell’assunto, in una sembianza di fili tirati anche dall’alto? Un modus operandi da partitocrazia imperante, con un occhio alle ‘trame superiori’. Oltretutto, il Comune sarà, probabilmente, sensibile alle indicazioni di Roma, visto che da lì dovrebbero arrivare i soldi del salvataggio. Siamo sicuri che le questioni governative non si mescoleranno con i consigli squisitamente politici, specialmente se a Palazzo Chigi regnerà la stessa comunità che si è insediata a Palazzo delle Aquile?

C’è, infine, la storia all’ombra del Liotru, con il sindaco Salvo Pogliese che si è dimesso, raggrumando in un ragionamento le sue varie osservazioni di cui abbiamo dato conto. La tempistica del ‘salutamu’ gli consentirebbe, comunque, di candidarsi con Fratelli d’Italia alle porte del 25 settembre. Ecco un altro esempio della romanità che sembra prevalere – oggettivamente, casualmente, come un destino – sull’insularità, mentre Catania declina in un drammatico abbandono.

Ma è la Sicilia intera che scompare, che si eclissa, che evapora nella sua inutilità, nella colonizzazione che la affligge, nella sudditanza, nella sua irrilevanza. La Sicilia senza leader, né figure di primo piano, né personalità che sappiano fare la politica e non soltanto subirla, discutendo tutto, ma non accettando, per forza, tutto. Questa Sicilia mischina – la lingua per raccontarla c’è, cara grazia, rimasta – che non conta più. (Roberto Puglisi)


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