PALERMO – Dai viali del parco della Favorita a via Lincoln. Da via Garibaldi e via Gorizia, fino a Ballarò. La mappa della prostituzione nigeriana in città è ampia, ma il suo retroscena è fatto di dolore e sottomissione. L’illusione di un lavoro come colf o baby sitter presso famiglie italiane svanisce una volta che la ragazza si ritrova sul marciapiede. Dietro quelle minigonne, i tacchi a spillo e i rossetti rossi infatti, non ci sono scelte, ma tragedie umane.
“Sì – dice Nino Rocca del coordinamento antitratta Nike Favour e Loveth – vivono in regime di schiavitù. Non si tratta di prostitute che hanno scelto il mestiere più antico del mondo per intascare soldi facilmente, ma di donne che fanno parte, a loro insaputa, di una vera e propria industria del sesso, i quali numeri lievitano costantemente. Ciò è possibile – prosegue – perché periodicamente arrivano dall’Africa decine di ragazze. Finiscono in trappola con la promessa di un lavoro serio. Una volta giunte qui in Italia si ritrovano non solo sulla strada, ma con un debito che può superare i centomila euro, ovvero i soldi che le organizzazioni criminali anticipano per permettere loro il viaggio”.
Lo stesso meccanismo che avrebbe condotto Nike Favour (nella foto) ad un destino disumano. Sulla lapide della prostituta di vent’anni il cui funerale è stato celebrato solo pochi giorni fa, c’è scritto “vittima della tratta”. Lo hanno voluto coloro che si sono impegnati per darle una degna sepoltura, coloro che non avevano mai dimenticato che Nike, uccisa e trovata carbonizzata, era stata abbandonata due anni prima in una cella frigorifera dell’obitorio del policlinico. Uccisa non solo dalle mani del suo assassino, ma da quelle di chi l’ha condotta verso una fine tragica, calpestando i suoi sogni e la sua stessa dignità. Lei, giovane nigeriana di Benin City, era arrivata a Palermo pensando di dovere lavorare come baby sitter. “Ma era stata inconsapevolmente utilizzata come merce di scambio”, spiega Rocca, che si è occupato insieme all’associazione “Il pellegrino della terra” e il centro Santa Chiara, di accelerare i tempi per il funerale la sepoltura del corpo della giovane.
La storia di Nike è simile a quella di almeno altre cinquecento nigeriane che si trovano a Palermo. Un esercito di giovani donne di cui almeno la metà è minorenne, con un’età che va dai quindici ai diciassette anni. “Purtroppo – dice Rocca – la loro vita è davanti agli occhi di tutti. Chi le vede lungo i viali della Favorita o in via Lincoln crede che si trovino lì perché hanno scelto il facile guadagno, trascurando invece il carico di estremo dolore che portano sulle spalle. Ad obbligarle alla restituzione del debito c’è una sorta di contratto – prosegue Rocca – che la maggior parte delle volte viene sottoscritto con la famiglia della ragazza, i quali beni vengono così messi a rischio. Prima del viaggio viene effettuato anche un rito vodoo. Nel caso di Nike, sola al mondo, qualunque ritorsione era invece rivolta a lei, tanto che il fidanzato palermitano, con il quale voleva sposarsi quanto prima, aveva tentato di aiutarla a pagare per difenderla. Ma il debito era troppo alto”.
Si tratta infatti di cifre da capogiro. Somme che le lucciole si ritrovano a dovere accumulare con centinaia di prestazioni sessuali pagate a venti auro l’una. “Questo vale per le nigeriane – dice Rocca – che di solito riescono ad estinguere il proprio debito in tre anni. Per le romene – aggiunge – i tempi si accorciano, visto che la loro ‘tariffa’ arriva anche a cinquanta euro: le donne costrette a prostituirsi che vengono dall’Est sono circa duecento. Le cifre, dal punto di vista economico, dipendono anche dal luogo in cui avviene la prestazione. Le nigeriane si trovano in strada, proprio tra i viali del parco o vicino al Foro Italico, ma il cuore della prostituzione ‘made in Africa’ è Ballarò. Tra i vicoli dell’Albergheria ci sono decine di bettole gestite dalle cosiddette “mama” – spiega Rocca – donne di circa 40 anni che a loro volta sono state vittime della tratta. Ma tutto ciò deve trovare un limite, non deve più sfociare in tragedie come quella di Nike, di Loveth o di Bose”.
Il coordinamento antitratta è nato proprio dopo la morte di due delle giovani nigeriane. “Perché è necessario sensibilizzare l’opinione pubblica. Bisogna indagare ad ampio raggio per scoprire coloro che sono a capo di queste organizzazioni che seminano schiavitù e morte dall’estero e catapultano queste ragazze negli inferi. E poi – conclude Rocca – l’uomo deve farsi un esame di coscienza. Il maschilismo porta da sempre a tragedie inaudite, ad omicidi efferati. La lotta al femminicidio non si fa soltanto con le parole, ma con un’accurata analisi dei contesti in cui essi maturano. Ed è ora di dire basta, non possono esserci altre Nike”.