CATANIA – “Era il 2000, il mio direttore era Roberto Morrione, avevamo appena pubblicato un’intervista inedita al giudice Paolo Borsellino“. Sigfrido Ranucci arriva in piazza Verga accompagnato dalla scorta: è il testimone del giorno del processo per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Mario Ciancio Sanfilippo. Il vicedirettore di RaiTre e conduttore della trasmissione televisiva Report ricorda i giorni dell’inchiesta chiamata I Vicerè: nel 2009 l’allora conduttrice Milena Gabanelli portò sulla Rai Catania, il buco di bilancio e la libertà d’informazione. Ma il nastro dei ricordi del giornalista in tribunale si avvolge fino a nove anni prima e a un fatto fino a oggi inedito: “Il testo dell’intervista a Borsellino sull’Ansa tardò a uscire: il direttore mi disse che era stato per via dell’intervento di Ciancio”.
Ranucci racconta a LiveSicilia quanto accaduto all’inizio degli anni Duemila. “Il giudice Paolo Borsellino parlava dei canali di riciclaggio con Cosa nostra, del ruolo di Vittorio Mangano, faceva i nomi di Dell’Utri e di Berlusconi“. È il 21 maggio 1992: due giornalisti francesi intervistano Paolo Borsellino alla vigilia della strage di Capaci. Il documento è importantissimo, ma non viene mai trasmesso in Francia né in Italia. Fino al 2000, quando il cronista della Rai lo ritrova negli archivi del giudice. “Borsellino non poteva essere accusato di fare quei nomi per motivi politici: Forza Italia ancora non esisteva e Borsellino era notoriamente un uomo di destra – prosegue Ranucci – Così quell’intervista fu accusata di essere un falso. Ci accusarono di manipolazione“.
Una volta pubblicata l’intervista, comunque, il testo integrale viene fornito all’agenzia di stampa Ansa affinché lo diffonda. “Misteriosamente, non venne pubblicato per ore – riporta Ranucci – Il mio direttore, Roberto Morrione, mi disse che aveva ascoltato delle fonti palermitane, lui che era stato cronista a Palermo, e che aveva raccolto la confidenza che a bloccarlo era stata proprio l’Ansa di Palermo per un intervento di Mario Ciancio”. Il conduttore di Report, però, puntualizza: “Io questa cosa non l’ho mai potuta verificare appieno“.
Il resto, le notizie verificate, invece, sono finite nell’inchiesta giornalistica del 2009: “Fu come una vasca a cui era stato tolto il tappo”, ricorda Ranucci. Nella puntata di Report si ripercorrono, tra le altre cose, la vicenda del necrologio non pubblicato al commissario Beppe Montana e quella del furto nella villa di Ciancio: “Oggetti di antiquariato per un valore stimato, allora, di dieci miliardi di lire. Ciancio pubblicò un annuncio per cui prometteva una cifra intorno ai 50 milioni di lire in cambio di informazioni“. L’autore di quel furto, il pentito Giuseppe Catalano, ha raccontato che a chiedergli notizie di quel colpo era stato il capoclan Giuseppe Di Giacomo (clan Laudani), a sua volta sollecitato direttamente da Aldo Ercolano.
“Ciancio chiese un risarcimento danni di dieci milioni di euro“, ricorda Ranucci, sorridendo. “Fare quest’inchiesta avendo alle spalle un’azienda grande come la Rai fa un effetto. Mi immagino cosa avrebbe potuto fare nei confronti di un collega della stampa locale: questo collega non avrebbe avuto la forza di reggere a tali pressioni”, conclude il giornalista.