Catania, il lockdown di fatto: "Sembra un dopoguerra" - Live Sicilia

Catania, il lockdown di fatto: “Sembra un dopoguerra”

La denuncia delle associazioni: "Chiusi senza essere chiusi, la gente è terrorizzata di uscire" (foto Monica Adorno)
LA PANDEMIA E LA CRISI
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CATANIA – Le vie del centro vuote, i negozi sguarniti, i locali che decidono di aprire che rimangono fermi per gran parte delle serate. Se non fosse per qualche vetrina illuminata e saracinesca alzata, Catania ricorderebbe le chiusure del 2020, quando l’unico strumento per difendersi dal Coronavirus era limitare il più possibile la circolazione delle persone.

Se infatti nella fase attuale non sono state prese formalmente misure di chiusura, se non per chi non ha intrapreso nessun tipo di percorso vaccinale, ristoratori e negozianti denunciano un “lockdown di fatto” in cui le persone, spaventate soprattutto dalla crescita di contagi avvenuta a cavallo di Natale, hanno smesso di uscire, disertando le attività commerciali. Un calo che, unito all’aumento delle bollette, ha già costretto qualcuno a chiudere, come annunciato ieri dalla pizzeria Gisira, e che fa gridare di disperazione gli esercenti nella richiesta di misure economiche di sostegno.

La grande paura di Capodanno

A descrivere l’andamento generale del periodo è Giovanni Mangano, titolare del ristorante Longanà e coordinatore regionale di Confedercontribuenti: “Siamo chiusi senza essere chiusi – dice Mangano – il danno grosso è stato fatto il mese scorso, quando d’un tratto l’informazione si è concentrata tutta sulla crescita dei contagi. Giustamente, sia chiaro, dato che il problema esiste. Ma è un problema affrontato male, almeno nei confronti delle categorie più deboli. Anche perché questo governo è poco sensibile alle piccole imprese”.

Il crollo delle presenze è avvenuto soprattutto tra Natale e Capodanno, periodo su cui commercianti e ristoratori avevano puntato per rifarsi dei duri colpi ricevuti dalla pandemia: “Le prenotazioni sono tutte saltate – racconta ancora Mangano – i negozi sono rimasti vuoti, e conosco alberghi in cui ci sono state l’ottanta per cento delle disdette. Nel mio caso specifico, nel periodo delle festività sono volati dalla finestra 20 mila euro, tra spese per le materie prime, bollette, affitto e mancati guadagni dovuti alla pioggia di cancellazioni”.

Foto Monica Adorno

“Sembra un dopoguerra”

Anche per Roberto Tudisco, coordinatore del Movimento imprese ospitalità di Catania e titolare dell’Osteria Bell’Antonio, il calo di presenze è stato molto pesante: “Abbiamo registrato un abbassamento medio del settanta per cento delle presenze – dice Tudisco – le persone, terrorizzate, non escono più di casa. Nel passaggio tra zona gialla e zona arancione non abbiamo visto differenze, dato che la gente ha iniziato a disertare il centro già da un mese. Sembriamo in un periodo di dopoguerra”.

Tutto questo succede in coincidenza con un rialzo delle bollette: “Prima eravamo chiusi ma avevamo qualche aiuto- dice Tudisco – oggi invece c’è totale indifferenza, e nel frattempo arrivano le bollette, sempre più alte, e le spesse fisse che certo non si fermano. Come associazione di categoria Mio abbiamo anche dei referenti nazionali che cercano di avviare un’interlocuzione con il governo, ma in questo momento sembra che noi non esistiamo più”.

Gli aiuti

Su cosa si potrebbe fare per il settore del commercio e della ristorazione, sia Mangano che Tudisco chiedono un maggiore aiuto soprattutto sulle spese, sia per le bollette che per le tasse. “Servono due cose – dice Mangano – un po’ di liquidità per affrontare le spese, come ad esempio l’aumento dell’elettricità del 50 per cento e gli affitti, e forme di sospensione per le tasse arretrate. È possibile pensare che, nel debito globale di tasse e arretrati dovuti, si possa fare un taglio. Non un condono, ma è una forma di risarcimento per quello che non è stato dato. Se lo Stato non vuole darmi dei soldi, degli aiuti, almeno mi riduca il dovuto delle tasse e mi agevoli l’accesso al credito. Questa cosa va fatta in fretta, se no chiuderanno molte aziende”.

Per Tudisco, “Siamo alla sopravvivenza, le banche non danno più prestiti e aiuti perché proprio noi ristoratori siamo una categoria a rischio. A questo si aggiungono anche problemi a livello locale: stiamo cercando di fare capire all’amministrazione comunale che non possiamo pagare tasse arretrate su suolo pubblico, rifiuti o verbali degli ultimi cinque anni. A causa del predissesto hanno portato le tasse al massimo livello, ma chi dovrebbe pagarle queste cose? Come dovremmo riuscirci? Ci vuole una mano sulla coscienza da parte di tutti, e anche un appello alla calma: non terrorizzate più la gente, non spingetela a chiudersi in casa”.


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