C'era una maggioranza | Ora restano macerie - Live Sicilia

C’era una maggioranza | Ora restano macerie

Cosa succede dopo la manovra
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La maratona di Sala d’Ercole che ha partorito la Finanziaria light votata dall’Ars lascia sul campo cumuli di macerie. Comunque la si guardi, è innegabile che la maggioranza che sostiene il governo di Raffaele Lombardo esca tutt’altro che rafforzata dal rush finale che in extremis ha permesso di dare un bilancio alla Regione con quattro mesi di ritardo. Nei partiti della coalizione di governo i musi lunghi abbondano. E non si tratta dei classici mugugni degli scontenti di turno,  quelli che ogni assalto alla diligenza fatalmente contempla alla fine dei conti. No, le ferite politiche sono più profonde. E necessiteranno di una terapia d’urto se si vorrà tenere in vita questa legislatura.

Il Partito democratico, e non è una novità, è quello che ha patito le sofferenze più palesi. L’anno scorso nella maratona di fine aprile, Lupo, Cracolici e compagni avevano fatto la parte del leone, riuscendo a inserire sul treno della finanziaria una raffica di provvedimenti di sapore riformista che i democratici avevano esposto come scalpo trionfale nei manifesti sei per tre sparsi per la Sicilia. Quest’anno le riforme sono rimaste pie intenzioni, il tutto è stato rimandato a leggi di settore e il carniere dei democratici è rimasto vacante, mentre i malumori e le spaccature interne sono rimasti tutti. Domani i democratici siciliani si riuniranno in conclave a Cinisi per il redde rationem con  Maurizio Migliavacca, emissario di Bersani. L’ala che fa capo a Cracolici e Lupo, dopo la delusione della Finanziaria, avrà meno frecce al proprio arco per contrastare gli assalti della minoranza interna. E l’esito della disfida, in vista della cruciale assemblea regionale dei prossimi giorni,  è tutt’altro che scontato.

Ma non c’è solo il Pd a far conto coi propri tormenti. In casa Udc, ad esempio, si è assistito a uno spettacolo che ha dato l’idea della fronda interna verso la capogruppo Giulia Adamo, isolata in qualche modo dai suoi deputati, che hanno frenato sui maxiemendamenti per stoppare gli slanci di Mpa e Pd. I centristi in questo hanno goduto della sponda dei quattro colleghi finiani, riaffermando, all’interno della coalizione, il peso decisivo dell’anima terzopolista.

La morale è chiara: Lombardo non può più governare da solo, giocando a spaccare a destra e manca. Serve una linea politica di mediazione, se non ci si vuol limitare a galleggiare. L’unica soluzione all’orizzonte per la maggioranza, se non si vuole “staccare la spina” come ha ipotizzato un pezzo da novanta dell’Mpa come Lino Leanza e tornare alle urne, è quella della politica. La strada può essere, pensa qualcuno, quella di abbandonare ogni ambiguità e trasformare la coalizione di supporto a un anomalo governo tecnico, in una autentica maggioranza politica, che sostenga un governo politico, e che con gli strumenti della politica, in una dialettica di coalizione, provi ad affrontare le emergenze della Sicilia, e magari anche l’ostruzionismo di un governo nazionale che la maggioranza siciliana considera, forse con qualche ragione, a trazione leghista.
Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo Catania, l’inchiesta Iblis e la sorte giudiziaria di Raffaele Lombardo. Difficile che un governo politico possa nascere, gravato da un’ipoteca così ingombrante.


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