L'accusa: "Cuffaro eletto| con i voti della mafia" - Live Sicilia

L’accusa: “Cuffaro eletto| con i voti della mafia”

Il processo per concorso esterno
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Cuffaro non era un ingenuo in balia delle millanterie di questo o quel mafioso, né un uomo costretto a subire amicizie scomode”. Nel tirare le somme dell’ultimo processo contro l’ex potente governatore siciliano che, dopo una condanna definitiva per favoreggiamento a Cosa nostra, si ritrova sul banco degli imputati con una pesante accusa di concorso in associazione mafiosa, il pm di Palermo Nino Di Matteo, dipinge un Cuffaro “scaltro”, un uomo che ha stretto un accordo con Cosa nostra e che aveva rapporti, seppure mediati, col capomafia di Brancaccio Giuseppe Guttadauro.

L’ex senatore questa volta non è in aula ad ascoltare le parole della Procura che ha deciso di processarlo di nuovo sostenendo che le condotte oggetto dell’abbreviato in corso, ormai prossimo al termine, sono diverse da quelle costate all’ex governatore un verdetto di colpevolezza. Tramite i suoi legali Cuffaro, in carcere a Rebibbia per scontare 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, ha infatti fatto sapere al gup, Vittorio Anania, di volere rinunciare a partecipare all’udienza che oggi era dedicata alle repliche dei pm. Di Matteo e il collega Francesco Del Bene, entrambi pubblica accusa, hanno parlato per oltre tre ore per riassumere l’imponente materiale messo insieme per provare la colpevolezza di Cuffaro e hanno ribadito la richiesta di condanna a 10 anni.

Una ricostruzione, la loro, che parte dal 2001, l’anno in cui l’imputato si candidò alla presidenza della Regione, sfruttando, secondo l’accusa, l’appoggio elettorale di Cosa nostra. Un aiuto, quello dato dai clan in cambio del quale, poi, l’ex senatore sarebbe stato “costretto a pagare cambiali” alle cosche. A sostegno della tesi del “patto” mafia-politica, la Procura ha scelto, a conclusione del processo, di citare due pentiti- Nino Giuffré e Maurizio Di Gati – e uno dei documenti consegnati alla Procura da Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito. “E se Giuffré – ha ricordato Di Matteo – ha parlato di un accordo di tutta Cosa nostra per sostenere elettoralmente Cuffaro, progetto voluto dal boss Bernardo Provenzano in persona, l’agrigentino Di Gati ha raccontato che in Cosa Nostra era notorio il patto tra l’ala provenzaniana e l’ex governatore”. La mafia, per il collaboratore di giustizia, si sarebbe impegnata a votare l’imputato e lui, una volta eletto, avrebbe garantito finanziamenti di progetti, assunzioni.

Il “pizzino” di Ciancimino, a questo punto, per i pm non è che la quadratura del cerchio, l’argomento finale del ragionamento. Quel riferimento, contenuto nel biglietto che Provenzano avrebbe inviato a don Vito nel 2001, anno di elezione di Cuffaro, a un presunto interessamento del “nuovo pres. e del sen.”, che secondo l’accusa sarebbero l’allora presidente Cuffaro e il senatore del Pdl Dell’Utri, a un provvedimento di amnistia per detenuti, non farebbe, dunque, che confermare la tesi dei pm. Una tesi che vuole l’ex governatore, eletto coi voti della mafia, in rapporti pure col boss di Brancaccio Guttadauro, tramite il suo delfino Mimmo Miceli.

La parola passa ora ai difensori dell’imputato che hanno invano provato a fare slittare la sentenza chiedendo un termine per poter esaminare le repliche della procura. Per il gup, invece, i tempi sono maturi per il verdetto, fissato al 16 febbraio prossimo.


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