Mafia, arsenali e sequestri: la tregua appesa a un filo - Live Sicilia

Mafia, arsenali e sequestri: la tregua appesa a un filo

Molti i rinvenimenti di armi negli ultimi mesi.

La regola è semplice. E vale non solo nella mafia. Più è potente e micidiale la riserva di armi, più fa paura un clan. La pax mafiosa fa leva anche su questo. Avere arsenali, anche se nascosti chissà dove, fa capire ai ‘rivali’ che in caso di passi falsi si è pronti a rispondere a pistolettate. I clan catanesi hanno armi a disposizione. Ne sono prova i i sequestri negli ultimi mesi. Anche recentissimi. Il rinvenimento di armi di qualche giorno fa a Monte Po da parte della Squadra Mobile di Catania è passato sotto traccia. Due fucili nascosti in una cantina non è però roba da poco. I segnali ci sono tutti per alzare le antenne. Due in particolare: la zona (storica roccaforte di più cosche criminali) e il fatto che i due fucili fossero occultati assieme a dosi di sostanza stupefacente. Il binomio armi-droga è già un segnale che si aggancia a dinamiche criminali ben tipizzate negli ultimi anni. Anzi negli due decenni di storia della mafia militare. Quella della prima linea, quella che fa soldi e controlla il territorio con le piazze di spaccio. E usa le armi per intimidire. Alcune volte senza neanche mostrarle. Il terrore, anche al solo pronunciare un cognome, è l’unità di misura della potenza criminale. E purtroppo c’è un netto collegamento con la dotazione armata.

Il paradigma – con l’ascesa e la caduta – del boss Andrea Nizza, fratello degli uomini d’onore Fabrizio (oggi pentito) e Daniele e dei narcos della mafia Salvatore e Giovanni, è l’esempio perfetto. La sua potenza criminale a Librino non diminuisce nemmeno quando Fabrizio diventa collaboratore di giustizia, ma più che altro quando il suo fidato autista Davide Seminara fa trovare in un vano ascensore un arsenale da guerra da far invidia a un esercito. Piano piano cominciano gli sgambetti e Andrea Nizza comincia a fare meno paura. Poi la sua sconfitta criminale arriva con la cattura dei carabinieri nel 2017.

Il centro nevralgico delle inchieste su Cosa nostra (Santapaola-Ercolano e Mazzei) e le altre famiglie mafiose (Cappello, Laudani, Corsoti-Milanesi e Pillera-Puntina) rimane Catania. Ma ci sono altre ‘piazze criminali’ dove arde il fuoco sotto la cenere. Ad Adrano, ad esempio, pochi giorni dopo il blitz che ha documentato le tensioni armate tra i Lo Cicero, referenti dei Mazzei e gli Scalisi, articolazione dei Laudani, c’è stato il sequestro di un arsenale. E, secondo fondi di LiveSicilia, nonostante i ‘custodi’ insospettabili ci sarebbe un collegamento con l’operazione antimafia ‘Third Family’ della polizia. Anche i carabinieri hanno effettuato sequestri a Catania, Mineo, Caltagirone, Palagonia, Belpasso. L’Arma siciliana ha fatto un report dettagliato sull’attività di “contrasto ai traffici e alle detenzioni illegali di armi e munizioni, mettendo in atto una serie di controlli a tappeto, sia nei quartieri periferici delle città metropolitane, sia nelle aree rurali”. I rinvenimenti nelle campagne sono molte volte il risultato del lavoro del corpo speciale dello Squadrone Cacciatori, addestrati per muoversi nelle zone impervie e isolate. i Le armi sequestrate – con matricola abrasa – sono state sottoposte ai rilievi balistici. L’obiettivo è verificare se sono stati utilizzati in fatti di sangue o altri delitti. Che spesso ci possa essere la mafia dietro le armi lo conferma anche il Generale di Brigata Rosario Castello, Comandante della Legione Carabinieri Sicilia, “dietro ad un episodio di rinvenimento di armi, ci può essere anche la mano della criminalità organizzata, che talvolta si avvale anche di individui insospettabili, per occultare grossi quantitativi di armi a disposizione delle cosche”.

I clan sono armati. La pax mafiosa al momento sembra resistere. Ma tutto pare reggersi su un filo sottilissimo. Lo scacchiere militare delle cosche è composto sempre più spesso da giovani teste calde che girano con la pistola alla cintola. E questo rischia di far precipitare tutto da un momento all’altro. Quello che è accaduto l’8 agosto 2020 ne è la prova plastica. I Cappello e i Cursoti-Milanesi si sono scontrati al viale Grimaldi, trasformando Librino in una zona di trincea. Un pomeriggio di guerra. Ma anche un anno fa, al Viale Mario Rapisardi i picciotti di Tony Trentuno, vertice operativo del gruppo di San Cocimo e catturato venerdì pomeriggio in Calabria dopo cinque mesi di latitanza, hanno sparato contro i giovani boss dei Nizza. Uno scontro passato in sordina ma poi emerso grazie alle indagini dell’omicidio di Enzo Timonieri. Non dimentichiamo che San Cocimo è il fortino di Maurizio Zuccaro, ergastolano e uomo di vertice di Cosa nostra: qualche giorno dopo quella sparatoria al Viale una bomba carta è scoppiata a casa del fratello Angelo.

L’utilizzo di armi ha dei rischi. Come quello di alzare l’attenzione delle forze dell’ordine. Le conseguenze del conflitto armato dell’estate di due anni fa è stato pesantissimo: arresti dei capi per tutti e due i clan. E alcuni hanno scelto di collaborare con la giustizia. Facendo aprire altre indagini. Che qualcosa si stia muovendo nella melma della malavita catanese è quasi una certezza. Perquisizioni mirate di polizia giudiziaria non sono mai casuali. Il fatto che Tony Trentuno, dopo settimane di ‘ritiro obbligato’ all’estero abbia organizzato il suo ritorno a Catania, potrebbe avere un movente anche in questa lettura di instabilità mafiosa. Il suo arresto, forse, ha avuto un effetto deterrente. Speriamo solo non sia la quiete prima della tempesta. 


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