Messina Denaro, il medico massone e il pizzino: verifiche - Live Sicilia

Messina Denaro, il medico massone e il pizzino: verifiche

Spunta un nuovo nome

TRAPANI – Un nome che fa tornare d’attualità una vicenda carica di clamore che accadde lo scorso maggio, nei giorni in cui la commissione nazionale antimafia guidata dal senatore Nicola Morra stava conducendo alcune audizioni presso la prefettura di Trapani: la giornata clou, quella dedicata alle audizioni dei vertici delle logge massoniche locali e in particolare di quelle aventi sede a Castelvetrano. Al tavolo degli auditi un medico, Quintino Paola, numero uno della loggia Ferrer di Castelvetrano. Adesso il nome di Quintino Paola esce fuori dalle carte trovate dai carabinieri nell’ambito delle perquisizioni condotte dopo la cattura del latitante Matteo Messina Denaro.

Quel giorno in Prefettura

Come ha svelato ‘Il Fatto Quotidiano’ nell’edizione di oggi, in un articolo a firma di Salvatore Frequente e Giuseppe Pipitone, il nome di Quintino pare fosse in un’agenda in possesso dell’autista del latitante, Giovanni Luppino, arrestato assieme al boss lunedì scorso a Palermo. Dalle fonti investigative dei carabinieri la notizia è stata confermata. Ma al vaglio dei militari c’è anche la possibilità che Quintino Paola potesse essere il medico di fiducia di Luppino, accertamenti quindi in corso. Cosa c’entra però quel nome con le audizioni dell’antimafia in Prefettura a Trapani? Quando Quintino Paola fu ascoltato in prefettura fu sorpreso troppo vicino alla porta, pare intento ad ascoltare o a registrare, un altro degli appartenenti alla loggia Ferrer, un altro medico, Salvatore Monteleone. La scoperta fu fatta personalmente dal presidente Morra: nell’uscire dall’aula incontrò qualche difficoltà, come se qualcuno dall’altro lato stesse facendo resistenza. Morra riuscì ad uscire, trovando Monteleone con un telefonino sulla mano e notò che la schermata era aperta. Secondo Morra stava registrando le audizioni. Monteleone disse che si stava occupando di alcuni suoi pazienti ai quali doveva mandare delle prescrizioni mediche.

La denuncia inascoltata di Morra

Una vicenda finita però archiviata dopo la denuncia di Morra alla Digos e alla Procura. Morra fece notare l’anomala presenza di persone, appartenenti alla massoneria, che erano lì ufficialmente per avere accompagnato gli auditi, lamentando come la prefettura avrebbe dovuto impedire la loro presenza nella stanza attigua, dove la commissione stava facendo le audizioni. “È preoccupante – disse allora il presidente dell’organismo parlamentare – che il soggetto fermato non era tra quelli convocati, non aveva alcun titolo a stare qui. Non so cosa stava facendo questo soggetto, ma acusticamente, era molto semplice ascoltare ciò che veniva detto all’interno del salone anche durante le audizioni dei rappresentanti delle associazioni massoniche, che tra l’altro erano state secretate, su richiesta degli auditi. A meno che non fosse sordo al 150 per cento, si sentiva tutto”.

L’ombra della massoneria

Le indagini successive alla cattura di Messina Denaro ancora una volta fanno emergere la presenza sulla scena dei rapporti pericolosi di uomini legati alla massoneria. C’è un medico indagato, Alfonso Tumbarello, ex consigliere provinciale Udc, ex candidato sindaco col Pdl nella corsa a sindaco di Campobello di Mazara: Tumbarello risulta il medico di base che firmava le prescrizioni mediche ad Andrea Bonafede, alias Matteo Messina Denaro. Il vero Andrea Bonafede, indagato per favoreggiamento per via della carta d’identità e tessera sanitaria fornita al boss, e per via dell’abitazioni acquistata, quella di via Cb 31, ultimo nascondiglio del mafioso, sentito dai carabinieri, ha detto che Tumbarello non ha mai visto in faccia il suo “omonimo” e che era lui che si recava dal medico e in farmacia, per le cure del latitante così tanto malato. Sembra più che altro il tentativo di dare un alibi al medico. Anche se così fosse, strano che il medico Tumbarello non si sia mai accorto che il Bonafede che sedeva davanti a lui nonostante la pesante prognosi tumorale stava bene.

Ma c’è un’altra circostanza che emerge anche dal racconto del vero Bonafede. L’uomo ha riferito di avere acquistato la casa dove abitava il boss, con i soldi che gli diede l’allora latitante. Quindicimila euro in banconote da 50 euro, poi versate sul suo conto corrente alla Posta. Una operazione che secondo gli investigatori doveva essere segnalata come sospetta, ma nessuno fece nulla.


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