Catania, i verbali choc della madre di Elena - Live Sicilia

“Quando l’ho uccisa ero girata, non volevo guardare”

La gip: "Gesto criminoso, meditato e studiato dalla madre"
L'OMICIDIO DI ELENA
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CATANIA – “Ricordo che ho portato Elena in questo campo e che le ho fatto del male e non ricordo altro [. . .] ho usato una cosa lunga tipo un coltello, non ricordo dove l’ho preso, non so perché ce lo avevo”. Una confessione fitta di “non ricordo” quella di Martina Patti, la mamma di 24 anni accusata dell’omicidio della figlia Elena Del Pozzo. La memoria sembra mancare anche quando l’ha uccisa con oltre undici fendenti: “Perché ero girata e non volevo guardare”. E ancora: “Non ricordo cosa sia passato nella mia mente quando ho colpito mia figlia, anzi posso dire che non mi è passato nessun pensiero, era come se in quel momento fossi stata una persona diversa. Quando ho colpito Elena – ha rivelato Martina Patti – avevo una forza che non avevo mai percepito prima, non ricordo la reazione della bambina mentre la colpivo, forse era ferma ma ho un ricordo molto annebbiato”.

Mancano molti dettagli nel racconto dell’indagata in cella ormai da una settimana. Nelle 15 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dalla gip Daniela Monaco Crea ci sono i punti focali dell’indagine dei carabinieri che ha portato Martina Patti – sollecitata anche dai genitori – ad ammettere “la bambina non c’è più”. Un quadro ancora pieno di buchi che piano piano si stanno riempiendo grazie all’autposia e agli accertamenti scientifici nella villetta e nel terreno di Mascalucia. Ancora mancano il movente e l’arma del delitto. L’ipotesi della gelosia, avanzata dagli investigatori in conferenza stampa, non è nemmeno citata nelle carte della gip.

Per la giudice Martina Patti sta tendando “di lasciar credere di avere agito senza una piena consapevolezza, ma ciò stride con la lucidità” con cui ha compiuto alcuni atti. La gip mette nero su bianco una dinamica (possibile): “ha prelevato Elena dall’asilo non prima delle 13.15”, poi “probabilmente l’ha portata a casa con sé (è stato, infatti, rinvenuto in cucina parte del budino che Elena avrebbe mangiato)”. Una volta uscita di casa, ha portato la figlia nel campo (per la prima volta, nelle altre occasione c’era stata senza lei per coltivare asparagi) e lì “ha scavato la fossa dove ha sepolto il cadavere della figlia” (potrebbe averla fatta prima di andare a prendere la bimba al grest). Oltre questo Martina Patti “si è disfatta dell’arma del delitto” e dopo aver ammazzato Elena “è rientrata a casa, ove si è lavata e cambiata”.  Alla fine “ha inscenato il consapevole depistaggio” del finto rapimento. Per la giudice sono “fasi tutte in cui deve essere stata necessariamente nel pieno delle sue facoltà”. E inoltre “nel corso dell’interrogatorio di garanzia, non ha manifestato alcun segno positivo di ravvedimento e pentimento”.

Per la giudice, Elena è “vittima di un preordinato gesto criminoso, meditato e studiato dalla madre che, già a partire quanto meno dalle ore 13 si era infatti procurata gli attrezzi per scavare la buca, aveva individuato un luogo impervio e isolato dove seppellire il cadavere e che, uscendo da casa in compagnia della figlia ancora viva, aveva portato con sé un coltello e ben cinque sacchi della spazzatura necessari per la completa esecuzione del delitto, aveva poi occultato l’arma e posto in essere la condotta di lucido depistaggio attuata dopo essersi ‘ricomposta’, condotta che non appare minimamente estemporanea ma che risulta meditata e studiata e conseguenza di una estrema lucidità”. La gip ritiene Martina Patti “lucida e calcolatrice”. 

Quando l’ha uccisa, quindi, Martina Patti non avrebbe guardato in faccia Elena che è stata trovata seppellita a metà. Non ricordo di avere sotterrato la bambina ma sicuramente sono stata io“, ha raccontato. Inquietante la descrizione del ritrovamento del corpicino della bimba: “L’ispezione dei luoghi del rinvenimento del cadavere faceva emergere che del corpo senza vita della minore sporgeva, rispetto al terreno, una porzione del gluteo destro e che, a circa tre metri da esso, erano riversi sul terreno una zappa con manico in legno e due spuntoni in metallo e una pala con manico in legno spezzato”. E il narrato dell’orrore continua: “ il corpo della bambina, la quale indossava solo una maglietta “totalmente inzuppata da materiale ematico”, era sotterrato dentro una buca e presentava “la testa rivolta verso il basso, [. ..j completamente piegata sul mento e posizionata in prossimità dell’area pettorale”, ciò che lasciava ipotizzare agli inquirenti “la probabile forte pressione verso il basso applicato dall’omicida nell’inserire (probabilmente scaraventare) il corpo della bambina nella fossa”. Quando hanno cercato di disseppellire Elena i carabinieri hanno trovato “adagiati sul cadavere, un paio di mutandine intrise di sangue, un pantaloncino di colore giallo (lo stesso che indossava all’asilo la mattina) e cinque sacchi per la spazzatura di colore nero “inseriti uno dentro l’altro, utilizzati per imbustare il cadavere”

La giudice Monaco Crea parla di un delitto efferato: “Patti ha inferto più colpi di arma da punta e da taglio alla piccola Elena, che è stata vittima di una morte violenta particolarmente cruenta e probabilmente anche lenta”. E poi aggiunge: “Uccidere un figlio in tenera età e, quindi, particolarmente indifeso, oltre a integrare un gravissimo delitto, è un comportamento innaturale, ripugnante, eticamente immorale, riprovevole e disprezzabile, per nulla accettabile in alcun contesto sociale, familiare, culturale e ambientale, ciò che consente di trarre indice di un istinto criminale più spiccato e di un elevato grado di pericolosità dell’indagata”.  


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