Catania, fondi Covid e mafia: in manette anche un carabiniere NOMI - Live Sicilia

Catania, fondi Covid e mafia: in manette anche un carabiniere NOMI

Tra gli arrestati c'è Gabriele Santapaola (classe 1984)

CATANIA – Una truffa ai danni dello Stato, per sfruttare i contributi alle imprese in difficoltà per la pandemia da Covid-19 e favorire la famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano di Catania. Il cuore dell’operazione Lockdown, eseguita dalla Questura del capoluogo etneo su mandato della Direzione distrettuale antimafia della procura di Catania, è questo. Con un elemento importante: tra gli arrestati c’è anche Gabriele Santapaola, classe 1984 e già detenuto, esponente di rango della famiglia, fratello di Francesco “Coluccio” Santapaola.

Arrestato un carabiniere

In carcere, oltre a Santapaola, è finito il brigadiere capo dei carabinieri di Catania Paolo Marragony (classe 1973), e poi Alessandro Mirabella (classe 1961), Andrea Pappalardo (classe 1977) e Michele Adolfo Valerio Pilato (classe 1958). Obbligo di dimora nel Comune in cui abitano e di presentazione alla polizia giudiziaria, invece, per Alberto Angelo Casisi (classe 1991), Paolo D’Angelo (classe 1961), Concetto Massimino (classe 1967), Paolo Monaco (classe 1985) e Claudio Nicotra (classe 1977). Sono accusati, a vario titolo, di truffa aggravata ai danni dello Stato, indebita percezione di erogazioni dello Stato, falso in scrittura privata e falso ideologico in atto pubblico.

Per Marragony, Mirabella, Pappalardo, Pilato e Santapaola, inoltre, si ipotizza l’aggravante di avere agito per favorire la famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano.

L’indagine in pandemia

L’indagine si è sviluppata tra marzo e novembre 2021. Intercettazioni telefoniche, telematiche e videoriprese sono servite per comprendere il meccanismo della truffa sui contributi previsti dal cosiddetto “decreto liquidità”, emanato per fronteggiare l’emergenza economica conseguita alla pandemia da Covid-19. Soldi che sarebbero dovuti servire per aiutare le imprese e i liberi professionisti in difficoltà ma che, secondo l’accusa, in questo caso venivano erogati “sulla base di documentazione falsa e presentata da soggetti che non avevano i presupposti di legge“. E cioè che non avevano alcun diritto di riceverli.

Il meccanismo in banca

Alessandro Mirabella, arrestato, sarebbe stato al vertice del sistema in qualità di funzionario di un noto istituto di credito catanese. Insieme a lui ci sarebbe stato Andrea Pappalardo (arrestato anche lui), direttore generale della Co.Fi.San. Consorzio Fidi, un consorzio specializzato nell’accesso a finanziamenti per il settore sanitario. Mirabella e Pappalardo sarebbero stati la mente che poteva contare su un braccio composto da Gabriele Santapaola, Alberto Casisi, Paolo D’Angelo, Palo Marragony, Concetto Massimino, Paolo Monaco, Claudio Nicotra e Michele Adolfo Pilato.

Avendo a disposizione un funzionario di banca compiacente, Pappalardo si sarebbe occupato di convogliare le richieste di finanziamento verso la banca di Mirabella. Quest’ultimo avrebbe poi affidato le pratiche a dipendenti di sua fiducia, tra i quali Paolo D’Angelo, che le avrebbero valutate positivamente dietro un compenso.

I “beneficiari compiacenti”

In questo passaggio della catena si sarebbero inseriti i professionisti Casisi, Pilato, Nicotra e i titolari di agenzie di disbrigo pratiche Massimino e Monaco: loro avrebbero reperito i professionisti a nome dei quali fare le domande di finanziamento e avrebbero poi predisposto tutta la documentazione falsa. Anche loro ricevendo del denaro da parte del beneficiario compiacente.

A completare il quadro ci sono Gabriele Santapaola e il brigadiere Paolo Marragony, che avrebbero collaborato con il commercialista Michele Pilato nella presentazione delle richieste di finanziamento intestate a prestanome.

Marragony, sfruttando il suo lavoro di carabiniere, avrebbe fatto più volte accesso abusivo al sistema informatico protetto, per ottenere informazioni dalle banche dati della polizia per finalità diverse da quelle di servizio. Inoltre avrebbe curato i rapporti con i funzionari di banca e avrebbe preparato tutta la documentazione: dall’apertura della partita Iva all’attivazione di utenze telefoniche ed email dove ricevere le comunicazioni bancarie, “alle quali rispondeva personalmente“.

Consapevoli di aiutare Santapaola

Secondo la magistratura, i quattro finiti in manette erano consapevoli del ruolo di Gabriele Santapaola nel clan mafioso e sapevano che “parte dei proventi dell’illecita attività” erano destinati alla famiglia di Cosa nostra. Per questo motivo a loro è contestata l’aggravante del 416 bis.

Grazie al materiale fornito dalla banca Unicredit – risultata estranea ai fatti e, anzi, danneggiata – sono state passate in rassegna almeno 13 istanze di contributi illegittimi, per una indebita percezione di 380mila euro. Tutti soldi sequestrati non solo ai dieci destinatari della misura restrittiva, ma anche agli altri 15 indagati. Cioè i beneficiari compiacenti dei finanziamenti indebiti.


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