"In lotta contro il Coronavirus": le storie che danno speranza

“In lotta contro il Coronavirus”: le storie che danno speranza

C'è un filo umano profondo che tesse tutte le storie della speranza, quando si parla di Coronavirus: l'urgenza di essere raccontate.

PALERMO- C’è un filo umano profondo che tesse tutte le storie della speranza, quando si parla di Coronavirus: l’urgenza di essere raccontate. E’ insopprimibile la comunicazione di una rinascita, dopo la tempesta. E soffre della paura di non essere creduta. Chi è entrato in un ospedale, in gravi condizioni, sapeva quanto fossero coriacee le fake news di certi negazionismi già qualche settimana fa. E sa che le cose, nel frattempo, non sono cambiate. Ecco perché, quando le condizioni migliorano e si recupera la possibilità di dire e di scrivere, sui social, spesso, appaiono biografie a un pelo della catastrofe, benedette da una svolta improvvisa.

“Gli angeli del quarto piano”

Proprio su Facebook, Alessandro, un uomo coraggioso, ha raccontato la sua esperienza, dall’arrivo al pronto soccorso del ‘Cervello’, fino al ricovero in reparto, dopo l’attesa: “Gli angeli dal quarto piano già mi marcavano strettissimo e mi facevano frequenti dolorosi prelievi arteriosi e mi monitoravano da lontano perché su al quarto piano non c’era un letto libero sul quale stare (…). Per una settimana ho fatto vari viaggetti ‘interstellari’, ho visto cadere vari compagni accanto a me, ho pensato più volte di non farcela e mi sono chiesto quando non ho sentito più un briciolo di forza e ardevo se io ero il prossimo, come puoi non pensare ciò! Di fronte avevo gli occhi di un compagno nelle mie condizioni, insieme ci siamo salvati guardandoci soltanto negli occhi, solo questo potevamo fare, mentre ci davamo forza a vicenda con lo sguardo, come due ciclisti che tirano faticosamente a turno sulla vetta più difficile della loro vita”.

“Ringrazio la vita”

Un compagno degli stessi luoghi, il professore Ernesto Mangiapane, psicologo, ha raccontato: “Sono vivo. Sono emozionato. Dopo 25 giorni in terapia intensiva con 45% di ossigeno che non mi bastava, sono stato trasferito in semi intensiva col 3% di ossigeno resisto e respiro. Ho avuto una polmonite devastante, come dicono i medici di una gravità inaudita, e che sono un miracolo me lo ricordano tutti i giorni. Sono stato chiuso dentro un casco ad ossigeno per 12 giorni, senza occhiali con ossigeno al massimo, bevevo da una cannuccia, messo prono nel tentativo estremo di salvarmi la vita.
Ho visto morire 7 persone, le ho viste chiudere dentro i sacchi neri, ho pensato tante volte che anche io sarei finito in un sacco nero. Ho avuto paura, terrore. Ringrazio tutti per le preghiere, i messaggi, l’affetto immenso dei parenti, dei pazienti, degli amici. Ringrazio l’equipe tutta dell’Utir dell’ospedale Cervello, il primario Arcoleo, sono pazzeschi, lavorano intensamente senza sosta, a voi infinitamente Grazie. E sopratutto grazie alla roccia della mia vita, mia moglie, ha sofferto tantissimo da sola per un tempo che sembrava non passare mai. IO RINGRAZIO LA VITA”.

“Quei medici mi hanno salvato”

Ovunque ci sono mani protese e mani che afferrano. Salvatore Cacciola, tramite LiveSicilia, ha inviato una lettera di ringraziamento ai medici dell’ospedale ‘Cannizzaro’: “Se oggi sono riuscito ad abbracciare la mia famiglia devo dire grazie a tutti loro che con abnegazione, spirito di sacrificio, passione e amore non mi hanno mai fatto sentire la lontananza dei miei cari, dandomi conforto nei momenti più bui. Ne sarò sempre grato, perché nonostante il momento difficile che si trovano ad affrontare, con turni stressanti e condizioni disumane, in loro non manca mai il sorriso e una parola rassicurante”.
Quei medici, quegli infermieri, tutte le persone che indossano un camice, non si sono mai sentiti eroi, ma semplice lavoratori, impegnati in una missione difficile.
Identica gratitudine esprime Italo Tripi, ricoverato a Partinico: “Il 118 gentile, chiaro, professionale. Lunga coda per essere presi in carico in ospedale. Il personale ospedaliero professionale, gentile, veloce, protettivo… ma quanta umanità nel palermitano che decide di accudire il più debole e indifeso, questi sono il nostro popolo”. Questa umanità è il miracolo che regge il sistema, nonostante tutto. Insieme, nelle corsie, si combatte. E la paura non è mai da sola perché sempre convive con il suo riflesso opposto, con sua sorella. La speranza.


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