PALERMO – Ancora un blitz antimafia. Nella calda estate palermitana. dopo Resuttana e San Lorenzo, tocca al mandamento di Porta Nuova. C’è una novità: per la prima volta viene contestato il reato di ricettazione ai parenti dei detenuti che ricevono i soldi per il mantenimento. Sono i soldi sporchi che garantiscono la solidarietà mafiosa. Sotto inchiesta finiscono anche i figli dei boss. L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia mette a rischio uno dei perni dell’intera organizzazione.
I carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale hanno arrestato 7 persone. Per altre 11 scatta l’obbligo di firma e per due l’obbligo di dimora. Chi è finito in carcere avrebbe risposto agli ordini dei capimafia Francesco e Massimo Mulè (padre e figlio) e Tommaso Lo Presti, soprannominato il lungo, arrestati fra dicembre e luglio dell’anno scorso. Una continuità che ha garantito il controllo del territorio, gli affari e il welfare di Cosa Nostra. Dai funerali alle spese sanitarie, dai soldi per i generi alimentari all’abbigliamento: i bilanci delle famiglie dei detenuti, alcuni dei quali al 41 bis, si basano esclusivamente sulla solidarietà mafiosa. Da qui il nome dell’operazione di oggi, denominata “Vincolo”, come quello che lega i membri dell’organizzazione.
La gestione della cassa a volte crea scossoni. “C’è sbaglio”, disse Anna, sorella del boss Tommaso Lo Presti, quando conobbe la cifra del suo regalo di Natale. Il suo e di un’altra donna della famiglia, la “zia Franca”.
I reati contestati sono associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione ai danni di un imprenditore del settore delle scommesse sportive, traffico e spaccio di droga, ricettazione, favoreggiamento personale e porto abusivo di armi. Tutti reati aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. (L’ELENCO DELLE PERSONE COINVOLTE NEL BLITZ).
Emerge ancora una volta la gestione diretta da parte di affiliati a Cosa Nostra delle piazze di spaccio di cocaina, eroina, hashish, marijuana e crack. Dalla droga arriva il grosso delle entrate. I carabinieri hanno ricostruito la rete dei traffici che faceva capo a Giuseppe Incontrera, assassinato l’anno scorso alla Zisa, e al figlio Salvatore, già detenuto.