La difesa della Sangiorgi: "Mai presentato lauree false”

La difesa della Sangiorgi: “Mai presentato lauree false”

Nell’interrogatorio di garanzia ha aggiunto di aver lottato per i suoi diritti. Il legale fa ricorso al Riesame.
L'INCHIESTA E GLI ARRESTI
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CATANIA. Ha totalmente disconosciuto la paternità di quel certificato di laurea falso a suo nome che le viene contestato; e che peraltro sarebbe stato prodotto in maniera errata, ha evidenziato con il suo legale, visto che ci sarebbe un errore persino nel nome: non Cristina Debora Sangiorgi ma Cristina Sangiorgi e basta. E poi ha aggiunto di aver lottato, si, ma solo per la difesa dei suoi diritti di lavoratrice, specificando di esser stata reintegrata perché era pure questo un suo diritto, riconosciuto al termine di una procedura sindacale; non certo a seguito di pressioni politiche. Si è difesa così la “dottoressa Sangiorgi”, uno dei quattro arrestati ai domiciliari dai Carabinieri nell’inchiesta sulla Società Interporti di Sicilia. Gli altri tre sono l’ex deputato Antonino D’Asero, legato alla Sangiorgi da una relazione sentimentale, l’amministratore unico Rosario Torrisi Rigano e l’imprenditore Salvatore Luigi Cozza. Definirla dottoressa, va sottolineato, non è un errore: ha chiarito di aver nel frattempo acquisito il titolo di studio della laurea.

La dipendente della Sis ha risposto per circa un’ora alle domande del Gip Carlo Cannella, nell’interrogatorio di garanzia che si è svolto in Tribunale a Catania, difesa dall’avvocato Francesco Giammona. Quando fu assunta, ha sottolineato, ha prodotto un regolare curriculum vitae dove figurava come diplomata, non laureata. E il diploma sarebbe stato un requisito sufficiente per l’assunzione, avvenuta inizialmente in una società privata, che solo in un secondo tempo diventerà della Regione.

Il licenziamento, a suo dire, sarebbe stato revocato al termine di una procedura portata avanti da un’organizzazione sindacale e da un avvocato, tant’è che la decisione di reintegrarla sarebbe giunta al termine di una riunione. Le sue successive richieste di intervento all’onorevole D’Asero, suo compagno – che a sua volta è accusato di aver fatto pressioni indebite in suo favore, chiedendo aiuto a due assessori della scorsa giunta regionale – sarebbero state motivate dal trattamento che, ha sostenuto lei, le sarebbe stato riservato. Ha detto al Gip di esser stata trasferita in una stanza con un tavolo e una sedia, all’inizio neanche un computer, poi adibita alle relazioni istituzionali ma che, le rarissime volte che l’ente doveva intervenire per manifestazioni o eventi, a farlo, sarebbe stato l’amministratore stesso. Al giudice sostanzialmente ha riferito una situazione di isolamento insostenibile, in grado di provocarle tutta l’esasperazione che traspare dalle intercettazioni contenenti le sue richieste di aiuto all’onorevole D’Asero.

Infine, le si contesta di essersi presentata regolarmente al lavoro durante il Covid nonostante fosse stato disposto lo smart working. Sul punto sostiene di non aver saputo, la mattina in questione, della disposizione perché rientrava dalla malattia e nessuno l’avrebbe avvertita. Era stato scritto nel sito internet, ha ammesso, ma prima di andare a lavoro non avrebbe controllato. Le dichiarazioni della Sangiorgi sono chiaramente la sua versione dei fatti. Va evidenziato infine che il suo legale, l’avvocato Giammona, ha già presentato ricorso a Tribunale del Riesame.


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