Via Crucis? Sì, è la Circonvallazione... - Live Sicilia

Via Crucis? Sì, è la Circonvallazione…

Questa è la cronaca di un viaggio mattutino. Ed è un viaggio che praticamente tutti i palermitani conoscono. Con tanto di esame finale. Al sindaco.

Stamattina il dovere mi chiama dall’altro capo della città. Ho una sessione d’esami al Policlinico e, abitando a Tommaso Natale, mi toccherà percorrere la strada che ha vinto lo scudetto di “più trafficata d’Italia”: la Circonvallazione. Appena superato il sottopasso di Via Socrate imbocco la corsia laterale lato-monte in direzione del Centro. All’altezza della prima uscita cittadina dall’A29, ecco la prima stazione di questa Via Crucis. Come ogni giorno a quell’ora, i TIR carichi di merce attendono in coda che gli addetti del megastore francese di “cose di casa” si decidano ad aprire i cancelli.

Per scansarli devo invadere la corsia destinata a chi esce dall’autostrada. Accendo l’autoradio mentre su entrambi i bordi della strada scorre il tappeto ininterrotto di immondizia ed erbacce che mi accompagnerà per tutto il tragitto. Di tanto in tanto sulla mia destra, e proprio in concomitanza dei cassonetti, cataste di rifiuti sembrano attendere l’autobus sotto le pensiline. Osservo che i cassonetti sono tutti rigorosamente vuoti e mi domando se i palermitani non riescano più a centrare il bersaglio del loro sport preferito (il lancio del sacchetto, intendo) o se invece proprio gli addetti alla raccolta li svuotino sull’asfalto che tanto la pala meccanica si porta via tutto ogni dieci giorni (alla faccia della differenziata). Beh, forse le due cose insieme.

All’altezza del nuovo ingresso del Cervello, via Maccionello è ostruita da una serie di cumuli di materiale edile di risulta. Qualche furbacchione che sta ristrutturando una casa ha scambiato la strada pubblica per una discarica. Pochi metri più avanti, siamo poco oltre via Trabucco, una piantagione spontanea di parietaria (la famosa “erba di vento” responsabile di asma e allergie) e un fumaiolo di eternit spezzato in più punti annunciano che lì vicino sorge un ospedale (il mio) con una secolare tradizione nella cura delle malattie respiratorie.

Proseguo verso via Belgio e finalmente entro nella corsia centrale. La strada è sgombra, ma un segnale tondo con la scritta “70” e il cartello dell’autovelox mi invitano a moderare la velocità. Poco prima dell’albergo che, comunque si chiami, resterà in eterno “il Motel Agip” inizia la litania dei semafori a chiamata con il variopinto campionario di “chiamanti” a far scattare il rosso. C’è lo storpio che mi guarda come fossi un pezzente quando gli allungo 20 centesimi, che al mio tasso di cambio fanno sempre 40 bustine di Calciatori Panini.

Ci sono i motociclisti che, dovendo invertire la marcia, mi guardano beffardi mentre attraversano in groppa ai loro mezzi. Più avanti, ecco la torma di extracomunitari che vorrebbero pulirmi il parabrezza con la loro bottiglia d’acqua fitusa. Un unico indigeno, giocando in casa, si appoggia confidenzialmente al finestrino per offrimi un accendino o i fazzoletti di carta. Ed è inutile dirgli che non fumo e che in pieno luglio non sono neppure raffreddato. Perché a quel punto l’evocazione dei picciriddi fa di nuovo scattare la mano verso il cassettino con gli spiccioli.

E infine, naturalmente, ci sono quelli che avrebbero il diritto di attraversare la strada per davvero e che si chiedono a cosa servano quei sovrappassi pedonali montati lì in pompa magna ormai quasi due anni fa e sui quali non è mai passato un pedone. Così come se lo chiedono le centinaia di persone che attendono dentro le loro scatole di latta in quella strada eternamente sospesa tra lo status di autostrada urbana e quello di suq mediorientale.

Va beh, le Colonne d’Ercole di Via Perpignano sono passate e il più è fatto. Rallento all’altezza dell’autovelox fisso mentre un energumeno che mi sovrasta da dietro su un gigantesco SUV si dimena e lampeggia dimenticando che in quel tratto, e solo in quello, “70” vuol dire davvero “70”. Imbocco la svincolo di via Basile dove da sempre il flusso di macchine in uscita si interrompe incrociando quello di chi proviene dalla Palermo-Sciacca per dirigersi verso l’autostrada di Catania. Certo, sarebbe tutto più scorrevole se la metà destra della carreggiata sotto il ponte non fosse sempre occupata da un camion pieno di cassette di pesche (o fragole, o arance, secondo stagione).

Finalmente arrivo al Policlinico per gli esami. Gli studenti sono lì in attesa con gli appunti in mano a sperare che l’argomento dell’ultimo ripasso coincida con quello dell’esame. Chiamo l’appello e il primo studente si siede di fronte a me. Per un attimo chiudo gli occhi. “Allora, signor Orlando. Mi parli della Circonvallazione. Le è capitato ultimamente di passare da lì? Si è accorto che l’immondizia e le erbacce sono ovunque, che nessuno rispetta le regole e che dovrebbe far qualcosa per rendere il traffico più scorrevole e l’attraversamento più sicuro? Sa dirmi perché, prima che li prendessero a sprangate, l’unica cosa funzionante erano gli autovelox? Su quale testo ha studiato, signor Orlando? Sa, la Circonvallazione è un argomento importante e lei mi sembra proprio impreparato”. Sono sul punto di alzarmi indignato per bocciarlo, ma apro gli occhi e di colpo quel ciuffo unto e quelle guance paffute scompaiono. Di fronte a me solo un ragazzo pallido che si morde le labbra. “Mi scusi se mi sono distratto. Allora, mi parli delle manifestazioni cliniche dell’asma”.

Il ragazzo si scioglie nel lungo sospiro di sollievo di chi, al contrario di quell’altro, “lo sa”. Io invece ripercorro con la mente la mia Via Crucis mattutina. Mi sento stringere il petto, come una specie d’affanno. Io non ho l’asma. Io vivo, in qualche modo, a Palermo.


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