Impareggiabile Tuccio Musumeci: "Ma Catania è una città distrutta"

Impareggiabile Tuccio Musumeci: “Ma Catania è una città distrutta”

Ottantotto anni e non sentirli. A LiveSicilia un racconto imperdibile: il rammarico per la città e poi il teatro, il cinema, Dario Fo e Pippo Baudo fino a Biancaneve...
INTERVISTA VIDEO
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6 min di lettura

CATANIA. Il testo dell’intervista video raccolta da Daniele Gangemi.

– Lei è nato a Catania nel ’34. Com’era la città in quegli anni?

Catania è stata distrutta. Molti dicono da noi catanesi, va bene, questo è vero. Ma ora è distrutta. Distrutta nel senso che secondo me non si riprenderà più. Non abbiamo più vigili e non vedo un vigile da quasi quindici anni a Catania. Io mi ricordo bene che cos’era la festa del vigile per l’Epifania, che stava sul podio. Poi noi ragazzi, bambini, ma tutti, anche agli adulti, gli portavamo tutti idoni. Avevano una divisa bianca bella. Allora mi ricordo c’era il  Comandante Adizzone che ci teneva molto. Era diverso, si vedevo in giro. Io lo vedo nelle altre città, ma anche in Sicilia, vedo i vigili. 
Ci sono semafori a Catania che non funzionano al corso Italia, in via Umberto, da parecchio tempo. Io dico mettete almeno un vigile per strada! E’ invece no, solo se c’è la partita del Catania lo mettono. E’ una città disordinata. Peccato, perchè il catanese era simpatico. Ora è annoiato, arrabbiato, ed ha ragione!

– Com’è nato quest’incontro speciale con il mondo del teatro?

Ero iscritto in Medicina a Modena, assieme a mio cugino De Gaetani, la mia famiglia, da parte di mia madre sono De Gaetani. Sono venuto un gruppo di attori che dicevano di essere universitari. Era una compagnia composta da Dario Fo, Giustino Durano e Franco Parenti, e portavano in scena “Sani da legare” ed “Il dito nell’occhio”. Dario Fo non era ancora sposato con Franca Rame e c’era un attore, Camillo Milli, morto da poco, figlio di un Ministro della Cultura del periodo fascistae, che era il fratello di un  assistente di mio zio. Una sera, durante lo spettacolo, dovevano fare impaurire Franca Rame e sono andati in Istituto da mio zioa prendere un topolino, una cavia, di quelle bianche e l’hanno messo in palcoscenico. Durante lo spettacolo ci fu l’inferno!
Da lì mi è nata la passione. Ritornando poi d’estate a Catania da un mio professore di lettere, il Professore Ruggeri, ho incontrato un altro giovane: Pippo Baudo! Io e Pippo Baudo ci siamo legati subito ed abbiamo iniziato quasi assieme.

Facevamo le serate nei locali, al Lido dei Ciclopi, Villa Cardì, che era importante,  abbiamo poi partecipato alla “Capannina d’Oro” a Palermo,  al “Chiostro d’Oro”, ed il regista a Palermo che organizzava questi eventi era quello che sarebbe diventato un grande regista: Antonello Falqui! Poi c’è stato un cantante che ci prese a simpatia, si chiamava Aldo Alvi ed era quello che la mattina in Rai cantava “Cento di questi giorni”. Ogni mattina c’era la sua voce e lui fu quello che ci instradò in questo percorso. 

– Nel 1985 ha ricevuto, per la sua interpretazione nel ruolo di Pipino il Breve, il premio Italian – American Forum al Mark Hellinger Theatre. E’ ancora così “distante” l’America dalla nostra realtà?

All’estero, a New York,  quello che è successo per “Pipino il Breve” è una cosa pazzesca. La definivano “Commedia Medievale”, e l’affluenza fu bestiale. Giro veramente il mondo! Fu un successo dappertutto e pensare che la prima volta nessuno ci credeva. Infatti non debuttò a Catania, ma al teatro “Vasquez” di Siracusa, nel 78/79, e c’erano milleduecento persone ad assistere. Fu un trionfo e noi stessi non ci credevamo. Ma non ci credeva forse neanche Tony Cucchiara. Tra l’altro fu Renzino Barbera a dare respiro al personaggio di Pipino, quando l’ha scritta Tony Cucchiara non era così.  

Mi ricordo che Paolo Grassi, grande direttore della Rai e Direttore del Piccolo di Milano, a Venezia, quando l’abbiamo fatto la prima volta, è venuto ogni sera a vederlo.  L’anno dopo io sono andato in America con Turi Ferro a fare “Il berretto a sonagli”, e lì mi hanno premiato per “Pipino il Breve”.

– Ad oggi ha all’attivo più di 20 pellicole cinematografiche. E’ stata dura riuscire a fare cinema partendo da Catania?

Iniziai con un film da protagonista nel ‘70 , “Lo voglio maschio” di Ugo Saitta, un regista premiato a Venezia tante volte. Questo film ebbe tanto successo e  vedeva nel cast anche  un’attrice israeliana, Aliza Adar, oltre ad Umberto Spadaro, Franca Manetti e tanti altri. Mi ricordo che questo film in Toscana incassò più che in Sicilia. Poi da lì cominciai a lavorare in tanti film, grazie anche all’aiuto di un grande agente cinematografico: Perrone, il Conte Perrone.

– Il 27 dicembre del 2021 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’ha nominata Commendatore dell’Ordine della Repubblica Italiana. Che senzasione ha provato? Come l’ha vissuta questa nomina così’ prestigiosa?

Si, mi ha nominato Commendatore, però io ho immagninato sempre i “Commendatori” come uomini robusti, con la pancia, e quindi quando mi chiamano Commendatore ho come l’impressione che mi prendano in giro, anche perchè, quando eravamo ragazzi, stavano girando un film a Catania, a piazza Dante, con Alberto Sordi, e siamo andati a conoscerlo. Qnado però lo abbiamo chimato “Commednatore”, lui quasi offeso ci ha risposto: “Commendatore? Io? Perchè ho la pancia?”. Allora lì è stato chiaro: i “Commendatori” devono avere per forza la pancia!

– Dal 2008 è Direttore Artistico del Teatro Vitaliano Brancati di Catania. Cosa significa farsi carico di una responsabilità simile, anche verso le givani leve?

I tempi sono cambiati. Pippo Baudo ed io facevamo veramente sacrifici all’inizio, ci siamo persino fatti raccomandare alla Rai  da Nino Lombardo, che era stabile  presso la sede di Catania dellla Rai. A noi non ci volevano!Quando ci siamo presentati al concorso nazionale a Roma, ci hanno bocciato per ben due volte a me ed a Pippo Baudo!Avremmo potuto avvilirci chiaramente, invece noi imperterriti abbiamo insistito. Quando è nato il Teatro Stabile di Catania mi contattarono dall’Amministrazione chiedendomi se mi potevano presentare per “Malìa”. Facevo una comparsata, dicevo soltanto Attento Nino!”, a Turi Fero, e Pippo Baudo mi aspettava fuori tutte le sera, dopo le prove, chiedendomi se potevo fare in modo che entrasse anche lui. Poi, dopo tanti anni, è diventato Direttore e Presidente del Teatro Stabile!

– Pirandello diceva che un palcoscenico è un luogo dove si giuoca a far sul serio. Le piace ancora giocare?

La cosa bella e che, forse per via dell’età, appena entro in teatro per preparare uno spettacolo inizio a sbadigliare! Una cosa tremenda. Anche durante le prove. Poi appena salgo sul palcoscenico e vedo che c’è il pubblico che ti dà la carica, l’energia, cambia tutto. E poi comunque devo dire qualche cosa a quel punto.  Mi ricordo una cosa bellissima, un aneddoto stupendo! Io sono nato nel periodo del Fascismo ed allora c’erano le Compagnie di Stato, che erano le compagnie delle fiabe. Un anno fecero “Biancaneve ed i sette nani”, al Teatro Sangiorgi, e tutti i bambini eravamo innamorati di Biancaneve. Questa ragazza aveva 24/25 anni, giovanisssima, ed era di una bellezza incredibile. 

Nel ‘60 poi mi ritrovai a lavorare al Quirino, a Roma, e cercando una pensioncina per accomodare, mi imbattei in una proprietaraia che sulle pareti di un corridoio buoi aveva appeso tutte le fotografie di quello spettacolo con Biancaneve. Incuriosito chiesi alla signora come mai avesse tutte le fotografie di quello spettacolo e la risposta fu che Biancaneve era lei. Solo che era cambiata molto, grossa, anziana: era la fine di un mito!

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