Messina, Superbonus e patto col boss: imprenditore ai domiciliari

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È indagato per “concorso esterno in associazione di tipo mafioso"

MESSINA – I carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando provinciale di Messina hanno eseguito la misura degli arresti domiciliari a carico di un imprenditore edile 46enne, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.

L’indagine

L’inchiesta ha fatto luce sull’infiltrazione di appartenenti alla famiglia mafiosa barcellonese nel settore dei lavori di ristrutturazione edilizia e dell’efficientamento energetico, con il superbonus del 110%. Già il 3 dicembre scorso aveva consentito l’esecuzione di una misura cautelare in carcere nei confronti di Salvatore Foti e Tindaro Pantè per associazione di tipo mafioso e trasferimento fraudolento dei beni aggravato dalle finalità mafiose, poiché ritenuti appartenenti alla famiglia dei barcellonesi.

Era emerso un vero e proprio accordo proposto dall’imprenditore edile a un importante esponente della cosca barcellonese, Mariano Foti, attualmente detenuto in carcere, volto a favorire la sua società, “pulita” ed economicamente attrezzata per rilevare il credito fiscale connesso al Superbonus edilizio. 

L’imprenditore arrestato, in cambio della protezione, del sostegno e del reperimento degli immobili, ubicati nella zona di Barcellona Pozzo di Gotto e nei comuni limitrofi, sui quali eseguire lavori di efficientamento energetico, avrebbe procurato somme di denaro al clan. Nonchè avrebbe assicurato l’affidamento di subappalti in favore di ditte contigue.

“Il patto”

Sulla base del patto criminale, stabilito proprio nel corso di un incontro tra l’imprenditore e Mariano Foti, Salvatore Foti e Tindaro Pantè, rispettivamente figlio e uomo di fiducia del boss, avrebbero agito nel territorio di influenza per segnalare gli edifici nei quali effettuare i lavori. Consentendo quindi alla ditta di accaparrarsi le commesse. In particolare a Barcellona Pozzo di Gotto, Pace del Mela, Furnari, Terme Vigliatore e Milazzo. In cambio i due avrebbero ricevuto dall’imprenditore laute provvigioni, mascherate tramite accrediti per non ben chiarite prestazioni d’opera. 

Nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita nel dicembre scorso, il gip non aveva ritenuto sussistenti le esigenze cautelari a carico dell’imprenditore nei cui confronti la procura aveva richiesto l’adozione del provvedimento restrittivo. Successivamente, a seguito di appello avanzato dalla stessa procura, il tribunale ha disposto gli arresti domiciliari.


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